L'ultima sugli autori
Autore: Giuseppe di Marco
Testata: Giudizio Universale
Data: 20 aprile 2012
Aspiranti nuove grandi firme e italiani troppo occupati a scrivere romanzi per leggere quelli degli altri, attenzione. Marco Rossari è uno di voi e dal suo praticantato letterario ha raccolto i racconti e le massime che vanno a comporre il suo primo libro. Il titolo, L'unico scrittore buono è quello morto, dice tutto, forse troppo.
“Io sono uno a leggere, loro sono milioni a scrivere”. Così Massimo Troisi sintetizzava il suo difficile rapporto con la lettura. E il senso era fin troppo chiaro: ma chi me lo fa fare?
Già, chi ce lo fa fare? Probabilmente è la stessa cosa che si domandano gli italiani. Che, come si sa, leggono poco, pochissimo. In compenso però, anche questo è noto, scrivono tanto, tantissimo.
E cosa c’è di meno attraente per un popolo di aspiranti-scrittori/svogliati-lettori di un libro (da leggere!) sulle frustrazioni dello scrivere? Nulla, verrebbe da dire. Se non fosse che così facendo si perderebbe la possibilità (tra le altre cose) di godersi questa deliziosa raccolta di racconti, battute, aforismi del giovane Marco Rossari (classe ’73 quindi, per i parametri nostrani, ancora suscettibile della consolante definizione anagrafica), che si presenta sugli scaffali con un titolo a effetto che ha tutto il sapore di una drastica dichiarazione di intenti: L’unico scrittore buono è quello morto.
Ma tranquilli, non una goccia di sangue (letterario, s’intende) stilla da questo libro. Solo fragorose risate, velate magari da un filo di amarezza qua e là. Sono racconti ironici e onirici, nei quali può capitare di imbattersi in uno spaesatissimo Tolstoj alle prese con una improbabile trasmissione radiofonica moderna oppure nel povero William Shakespeare messo sotto accusa per plagio. Il tutto inframezzato da calembour e freddure che sembrano fatte apposta per essere citate. E infatti le citiamo, precisando che il bersaglio preferito sono gli scrittori stessi:
Tipo:
"C’era uno scrittore che non riusciva a far passare una giornata senza scrivere un rigo. Il problema era che gli altri riuscivano a farne passare innumerevoli senza leggerlo"
Oppure (con richiamo evidente, peraltro, al Troisi di cui sopra):
"C’era uno scrittore che aveva letto un solo libro, il suo. E gli era bastato"
O anche:
"C’era uno scrittore che non voleva arrivare al successo e ci riuscì".
Ma si sprecano gli sberleffi al mondo dell’editoria e della critica, vera o presunta:
"C’era uno scrittore che scriveva solo cose vere, ma tutti gli chiedevano cosa c’era di inventato. Non appena passò a scrivere cose inventate, tutti cominciarono a chiedergli cosa c’era di vero."
Fino al drastico:
"L’autore è morto. Seguirà reading"
Ora, e ribaltando la domanda posta poc’anzi: cosa c’è di più indicato per testare le proprie effettive inclinazioni letterarie che cimentarsi con una dissacrante allegoria dell’intera filiera del libro (dal lettore all’editore, passando per il traduttore e il romanziere, il saggista e il recensore)? Magari tante altre cose, ma certamente questo libro è una di quelle.
Un testo che, per definizione dello stesso autore, “è un plagio di se stesso”; nel senso che si trovano qui raccolte molte delle cose che il nostro è andato scrivendo negli anni su internet, riviste e un po’ dove capitava (no, sui muri no. Almeno credo).
E siccome Rossari ha lavorato in case editrici e librerie ed è anche traduttore, scrittore, poeta (sì, esistono ancora, pare), oltre che, si presume, lettore, ne viene fuori un profilo ideale per raccontare cosa mai passi per la testa di un aspirante scrittore. Cosa lo spinga a cimentarsi con un mondo fatto di cocenti delusioni, beceri cinismi, inutili vanità e solo rare ed effimere soddisfazioni travestite da successi? Cosa abbiamo davvero di così importante da meritare tutti i goffi tentativi per inserirlo a forza tra le pagine di un libro? Quale terribile segreto sentiamo così forte il desiderio di sviscerare, condividere, ostentare scrivendolo su un pezzo di carta?
Vi arrendete? Allora non vi resta che andare all’ultimo racconto, dove si parla dell’ennesimo aspirante scrittore alle prese con il suo libro “definitivo”: un tomone di mille pagine che l’editore gli consiglia di scorciare e ridurre. E togli di qua, togli di là, cancella questo e cancella quest’altro, lo scrittore arriva finalmente, spossato ma soddisfatto, al nocciolo della questione; qualcosa che ci riguarda davvero tutti da vicino. No, niente aiutino. Se siete lettori svogliati allora peggio per voi.