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La bambola imbroglia il cuore

Autore: Lorenzo Mondo
Testata: La Stampa
Data: 25 novembre 2006

All’uscita del terzo romanzo di Elena Ferrante, La figlia oscura, abbiamo assistito nella società letteraria al solito teatrino sulla misteriosa personalità dell’autrice, che non si è mai fatta vedere e forse non esiste nemmeno: nel senso che il suo sarebbe uno pseudonimo, sotto il quale si nasconde una persona altrimenti nota, perfino un uomo. E qualcuno ipotizza che i tre libri appartengano a mani diverse. Sia come sia, il gioco in maschera paga abbondantemente e induce a sottili raffronti, a spropositate analisi filologiche, all’interno e all’esterno della produzione firmata Elena Ferrante. Mi sembra, francamente, che La figlia oscura non solleciti, di per sé, questa sorta di impegno e mi atterrò quindi alla lettera del testo.

Chi racconta la storia è Leda, una donna di mezza età, che insegna letteratura inglese ed è divorziata da uno scienziato autorevole, presso il quale vivono in Canada le due figlie. E’ andata in vacanza al mare (apparentemente in una zona del Centro-Sud) e la sua serenità è appena turbata da una chiassosa famiglia che invade la spiaggia e le ricorda il degradato ambiente napoletano in cui è nata e da cui si è emancipata. Da quel clan truce e volgare si stacca appena la figura di Nina, una giovanissima madre che la colpisce per la sua bellezza e per la dizione alla piccola Elena: «Pareva non aver voglia d’altro che della bambina».

Agisce in Leda il rimorso di avere abbandonato un tempo le sue figliolette, nel desiderio di uscire dalle strettoie della famiglia, di realizzarsi dal punto di vista sentimentale e professionale. Si istituisce così tra le due donne un singolare e divergente rapporto. Leda immagina quanto sia sacrificata l’estraneità di Nina rispetto ai «napoletani», ma è incantata dal legame viscerale che lei, dopo avere interrotto gli studi, intrattiene con Elena. (Questa, a imitazione della madre, riversa sulla sua bambola un possessivo, quasi maniacale affetto).

Ma Nina, che dietro l’apparente pacatezza si sente insoddisfatta e cova fremiti di rivalsa, vede in Leda un modello di affrancamento, di possibile libertà. Fino a concedersi un flirt con il giovane bagnino, rischiando la vendetta del marito guappo. Suscitando inoltre un’oscura gelosia nella professoressa, che si fa forza della propria superstite avvenenza. Leda pensava di trarre da Nina una lezione edificante, ma si scopre maestra di trasgressione e rivive, specchiandosi in lei, le sue stesse, confuse esperienze, le contraddizioni del suo animo. Anche se sembra persuasa alla fine che «disancorarsi, percepirsi leggere non è un bene, è crudele verso se stessi e verso gli altri ». Lo lasciano intendere le telefonate delle figlie che arrivano, concilianti, dal Canada.

Non è il caso di spegnere, con inopportune rivelazioni, la tenue suspense del romanzo. Basti dire che al centro di tutto sta la bambola spelacchiata di Elena, perduta e ritrovata, quasi un minimo feticcio e, insieme, «testimone lucente di una maternità serena». La figlia oscura è dunque un romanzo sulla condizione femminile: le tensioni che possono insorgere nell’ambito del matrimonio, la consunzione della passione d’amore, i difficili rapporti con i figli, che sono di volta in volta peso e incentivo alla libera espressione dei sentimenti, al raggiungimento della maturità. A questo imbroglio del cuore umano (quello esemplato magistralmente dal «guazzabuglio» manzoniano) Elena Ferrante, o chi per lei, si applica con un linguaggio non particolarmente impressivo (privo quanto meno dell’incandescenza dei Giorni dell’abbandono), con le finezze che ho segnalato e le altrettante oscurità. Come ci avverte Leda in limine al romanzo: «Le cose più difficili da raccontare sono quelle che noi stessi non riusciamo a capire».