Alluscita del terzo
romanzo di Elena
Ferrante, La figlia oscura, abbiamo
assistito nella società
letteraria al solito teatrino sulla
misteriosa personalità dellautrice,
che non si è mai fatta
vedere e forse non esiste nemmeno:
nel senso che il suo sarebbe
uno pseudonimo, sotto il
quale si nasconde una persona
altrimenti nota, perfino un uomo.
E qualcuno ipotizza che i
tre libri appartengano a mani
diverse. Sia come sia, il gioco
in maschera paga abbondantemente
e induce a sottili raffronti,
a spropositate analisi filologiche,
allinterno e allesterno
della produzione firmata Elena
Ferrante. Mi sembra, francamente,
che La figlia oscura non
solleciti, di per sé, questa sorta
di impegno e mi atterrò quindi
alla lettera del testo.
Chi racconta la storia è Leda,
una donna di mezza età,
che insegna letteratura inglese
ed è divorziata da uno scienziato
autorevole, presso il quale
vivono in Canada le due figlie.
E andata in vacanza al
mare (apparentemente in una
zona del Centro-Sud) e la sua
serenità è appena turbata da
una chiassosa famiglia che invade
la spiaggia e le ricorda il
degradato ambiente napoletano
in cui è nata e da cui si è
emancipata. Da quel clan truce
e volgare si stacca appena
la figura di Nina, una giovanissima
madre che la colpisce per
la sua bellezza e per la dizione
alla piccola Elena: «Pareva
non aver voglia daltro che della
bambina».
Agisce in Leda il
rimorso di avere abbandonato
un tempo le sue figliolette, nel
desiderio di uscire dalle strettoie
della famiglia, di realizzarsi
dal punto di vista sentimentale
e professionale. Si istituisce
così tra le due donne un
singolare e divergente rapporto.
Leda immagina quanto sia
sacrificata lestraneità di Nina
rispetto ai «napoletani», ma è
incantata dal legame viscerale
che lei, dopo avere interrotto
gli studi, intrattiene con Elena.
(Questa, a imitazione della
madre, riversa sulla sua bambola
un possessivo, quasi maniacale
affetto).
Ma Nina, che
dietro lapparente pacatezza
si sente insoddisfatta e cova
fremiti di rivalsa, vede in Leda
un modello di affrancamento,
di possibile libertà. Fino a concedersi
un flirt con il giovane
bagnino, rischiando la vendetta
del marito guappo. Suscitando
inoltre unoscura gelosia
nella professoressa, che si
fa forza della propria superstite
avvenenza. Leda pensava di
trarre da Nina una lezione edificante,
ma si scopre maestra
di trasgressione e rivive, specchiandosi
in lei, le sue stesse,
confuse esperienze, le contraddizioni
del suo animo. Anche
se sembra persuasa alla fine
che «disancorarsi, percepirsi
leggere non è un bene, è crudele
verso se stessi e verso gli altri
». Lo lasciano intendere le
telefonate delle figlie che arrivano,
concilianti, dal Canada.
Non è il caso di spegnere,
con inopportune rivelazioni, la
tenue suspense del romanzo.
Basti dire che al centro di tutto
sta la bambola spelacchiata
di Elena, perduta e ritrovata,
quasi un minimo feticcio e, insieme,
«testimone lucente di
una maternità serena». La figlia
oscura è dunque un romanzo
sulla condizione femminile:
le tensioni che possono insorgere
nellambito del matrimonio,
la consunzione della passione
damore, i difficili rapporti
con i figli, che sono di volta
in volta peso e incentivo alla
libera espressione dei sentimenti,
al raggiungimento della
maturità. A questo imbroglio
del cuore umano (quello
esemplato magistralmente
dal «guazzabuglio» manzoniano)
Elena Ferrante, o chi per
lei, si applica con un linguaggio
non particolarmente impressivo
(privo quanto meno
dellincandescenza dei Giorni
dellabbandono), con le finezze
che ho segnalato e le altrettante
oscurità. Come ci avverte
Leda in limine al romanzo:
«Le cose più difficili da raccontare
sono quelle che noi stessi
non riusciamo a capire».