Domani arriva in libreria La terra della mia anima e Massimo Carlotto salda un paio di debiti. Il primo è con Beniamino Rossini. Nei romanzi dell'Alligatore lo scrittore aveva preso in prestito dal vecchio malavitoso la storia, lo stile, i tic e perfino l'aspetto fisico per tratteggiare il personaggio più efficace e più amato dei suoi noir accanto al protagonista. Carlotto salda il debito di creatività e di realismo svelando la vera storia di Rossini, l'avventura umana che il suo amico glia ha raccontato davanti a un posacenere e a un registratore colmendo entrambi, un giorno dopo l'altro, finchè Carlotto ha avuto nei suoi nastri e sul block notes degli appunti una vicenda completa: l'epopea del contrabbando italiano, un autentico romanzo d'avventura.
Gli spalloni che passano il confine svizzero con gli zaini zeppi di sigarette, le regole e i tipi di una delinquenza estinta, le sfide tra guardie e ladri sul filo dell'astuzia più che del confronto fisico e cruento. Un piccolo mondo bandito che Rossini - attraverso Carlotto e la sua scrittura, più piana e diretta che mai - rievoca con affetto.
Sarà che si parla dell'eterna provincia italiana, e per di più provincia di frontiera, ma a tratti si sentono le suggestioni del Piero Chiara di Vedrò Singapore. Altri passi possono riecheggiare 54 di Wu Ming, quantomeno per il periodo storico e il clima politico da cui parte la storia, per poi dipanarsi sul telaio della storia più grande, quella del Paese: la perdita dell'ingenuità, i mutamenti della politica e l'affievolirsi dei partiti di massa, gli spalloni che vanno scomparendo e i trafficanti che si moltiplicano, la mafia, la trasformazione delle carceri, la Jugoslavia e la guerra della porta accanto.
Questo è il secondo debito saldato da La terra della mia anima (edizioni e/o, 157 pagine, 15 euro): un debito di testimonianza verso fatti e fattacci, passaggi storici non morti ma già sepolti nella smemoratezza. D'altra parte Carlotto ha sempre denunciato la funzione vicaria che il romanziere assume verso un giornalismo che scava poco e ricorda anche meno. quando l'esito è nitido come la storia di Beniamino Rossini, il giornalismo non ha nulla in contrario a cedere il passo: si accomodi, Carlotto, e ci racconti ancora.