«La terra della mia anima» di Massimo Carlotto. L'avventura di Beniamino Rossini con «colonna sonora» di Ricky Gianco
Benedetto Vecchi
L'Alligatore ha perso un compagno di banda. Beniamino è morto di cancro contro il quale ha combattuto con dignità, anche se sapeva che avrebbe perso la partita. Un corpo a corpo con la bestia senza mai smentire il suo personaggio. Battaglia a muso duro, senza mai illudersi o nutrire speranze in qualche miracolo. Ma prima di morire, Beniamino ha scelto un amico per raccontare la sua storia di vecchio contrabbandiere che ha attraversato il tumulto degli anni che vanno dalla liberazione dal fascismo all'avvento di una seconda repubblica, arrogante e triviale come la prima. D'altro canto l'amico Massimo Carlotto aveva già parlato di lui nei romanzi della serie dell'Alligatore e ne aveva fatto un ritratto lusinghiero, dove le luci e le ombre componevano un quadro di un «duro» i cui sentimenti erano aspri e senza mediazioni come la sua vita. Dunque un senso della giustizia «antica», della dignità, dell'onore, del rispetto dell'altro se l'uomo e la donna che hai di fronte corrispondono a quella fedeltà a se stessi che Beniamino si è sempre imposta come bussola per indirizzare il suo percorso di vita.
Ma questo La terra della mia anima - e/o, pp. 158. euro 15 - non è solo un libro di memorie, perché lo sfondo su cui si muove il protagonista sono le trasformazioni sociali italiane e la conseguente «evoluzione» della malavita. E se Carlotto ha abituato il lettore a una scrittura asciutta, questo romanzo punta all'essenziale. Anche quando il testimone passa direttamente al protagonista che scrive di sé in prima persona, le parola sono sempre calibrate, precise, meditate. Una storia italiana che ha una colonna sonora nelle canzoni di Ricky Gianco, chansonnier che come Beniamino ha attraversato la seconda metà del Novecento rimanendo sempre fedele a se stesso, sia quando era nel clan Celentano sia quando lavorava con Gianfranco Manfredi, l'autore di «Chi lo ha detto che non c'è», la ballata simbolo del movimento del Settantasette.
Gli spalloni della montagna
Beniamino Rossini vive la sua infanzia nella Milano del dopoguerra. La fame, la povertà sono i suoi compagni di gioco da bambino. Rimane estasiato dai racconti di un partigiano sulla Resistenza e la vita in montagna. Vive in un quartiere di «rossi», in un piccolo appartamento diviso con la madre, una comunista basca, il padre, un operaio anch'egli comunista, e i suoi fratelli. Uno di loro è letteralmente un ladro di polli, gira cioè le campagne lombarde per mettere in tavola quel mangiare che i salari non riescono ad acquistare. Beniamo racconta quando scherniva con parole troppo triviali per un bambino le suore di passaggio sulla strade. Azioni che hanno il consenso e l'approvazione degli abitanti del suoi condominio.
Poi il trasferimento in una paese al confine con la Svizzera, l'incontro con la montagna e gli «spalloni», come venivano chiamati i contrabbandieri. E la montagna diventa per Beniamo la «terra della sua anima». La sua educazione sentimentale è costellata delle «trasferte» al confine per prendere le «bricolle» (i sacchi pieni di sigarette) e portarle poi giù in pianura. Beniamino frequenta la sezione del Pci, vende l'Unità la domenica, partecipa alle riunioni del partito, rinnova la tessera anno dopo anno.
Mestiere affascinante quello dello «spallone». Nessun cartellino da timbrare, nessun capetto che controlla, tutt'al più il gioco al gatto e al topo con la finanza. Un gioco però dove le regole sono chiare e rispettate dai giocatori: niente armi da fuoco, nessuno viene picchiato. E' una vita avventurosa la sua, anche se Beniamino è consapevole che i suoi «datori di lavoro» - le multinazionali del tabacco e del caffè - si arricchiscono con il lavoro dei contrabbandieri. Lui si ingegna per guadagnare molto di più, trova delle tecniche per «importare» grandi quantità di sigarette e di caffè al punto da diventare «benestante». Incontra una donna, la sposa e apre con lei una «fiaschetteria». Siamo negli anni Sessanta e Beniamino incontra un tedesco, comunista senza partito che ama la rivoluzione cubana, quella culturale cinese, Lumunba e i movimenti di liberazione nazionale. Insegna a Beniamino l'amore per i libri. E Beniamino inizia a leggere libri di cui ha sentito parlare in sezione, ma che non ha, fino ad allora, mai avuto tra le mani. Poi il Sessantotto, l'autunno caldo. Beniamino simpatizza per quelli de il manifesto, ma il partito non si lascia mai, anche se sbaglia.
Chi invece gli farà abbandonare la montagna, la comunità degli «spalloni», la moglie e il partito è un aumento dei prezzi nel 1973, anno della crisi petrolifera e inizio del declino inesorabile dei contrabbandieri di montagna.
La «terra della sua anima» diviene il mare. Si apre un nuovo capitolo nella sua vita. Le corse in motoscafo per sfuggire alle motovedette della guardia di finanza per portare al sicuro la merce contrabbandata, l'incontro con la mafia, camorra e n'drangheta e il netto rifiuto di affiliarsi a qualche clan. Scelta che lo porterà sempre a essere un «cane sciolto». Beniamino diviene un rapinatore, senza mai sparare un colpo. Vive ai margini della società, è un «deviante», sempre però fedele a se stesso. Una coerenza che lo butta a precipizio in prigione. Siamo così a quel giro di boa che è il 1989. Il Muro di Berlino cade, esplode la federazione jugoslava e Beniamino impara cosa vuol dire nazionalismo, genocidio etnico, ustascia. Vede sgretolarsi sotto i suoi occhi la prima Repubblica. Ucciderà anche per far rispettare quel senso di giustizia che non prevede soprusi, tradimenti e oppressione dell'uomo sull'uomo.
L'orso del mare
Per chi conosce i romanzi di Massimo Carlotto, l'epopea di questo «spallone» non è ignota, ma in questo romanzo diventa un interessante angolo prospettico sul Mediterraneo. I suoi racconti potrebbero essere anche la storia del cambiamento della malavita italiana: e lo sono. Ma è anche una riflessione sul rapporto tra normalità e devianza. Beniamino vive ai margini della società. Una condizione certo non invidiabile quella del «deviante», ma talvolta vivere ai margini consente di guardare in faccia alla realtà andando alla radice dei fenomeni. Senza nessun romanticismo o rimpianto del passato. Beniamino romantico alcune volte lo è, ma mai quando deve parlare della società «normale» e del suo comportamento. Il suo è uno sguardo lucido. Coglie la portata delle grandi trasformazioni che investono la società italiana e anche qual è la posta in gioco nei conflitti sociali e di classe. Ad esempio il Mediterraneo non è un luogo neutrale: è il mare dove confliggono grandi interessi economici e politici. Come quando scopre che la guardia di finanza tollerava il contrabbando con la Croazia perché alimentava il fiume di valuta pregiata verso quel paese. La malavita organizzata è un intermediatore tra produzione e consumo fino a cercare di gestire tutto il ciclo capitalistico di alcuni settori. Il potere politico non ha altro ruolo che garantire lo status quo. I movimenti sociali - quello del Sessantotto, ovviamente, ma anche i successivi - sono una «ribellione organizzata» all'esistente. Un romanzo non di sole memorie, dunque, dove la storia degli ultimi sessant'anni che ha l'andamento di un torrente di montagna o di un mare a forza sei. Ma la montagna e il mare sono le «terre dell'anima» di Beniamino. Buon per lui che lo ha capito. Buon per chi scrive e per chi leggerà il romanzo domandarsi quale sia la propria «terra dell'anima».