DIARI D'AUTORE La nuova sfida di Christa Wolf, che nel suo ultimo libro racconta fatti e pensieri del 27 settembre, sempre la stessa data una volta all'anno, dal '60 al 2000. Per non dimenticare come era il mondo. E cosa siamo stati noi
Come accade la vita? E qual è il modo più adatto per raccontarla? A queste domande, tutt'altro che semplici, cerca di rispondere Christa Wolf nell'appassionante memoir dal titolo Un giorno all'anno, che esce in questi giorni per le edizioni e/o. Si tratta di un'autobiografia anomala, in cui la più grande scrittrice tedesca vivente descrive fatti e pensieri di tutti i 27 settembre di quarant'anni consecutivi, dal 1960 al 2000; quasi seicento pagine che, ripercorrendo la vita dell'autrice e dei suoi familiari, amici, avversari, costituiscono uno strumento prezioso per comprendere la storia delle due Germanie dal dopoguerra a oggi.
L'occasione per iniziare l'autobiografia si presenta, per l'appunto, nel 1960, quando il giornale moscovita Isvestija rivolge agli scrittori di tutto il mondo un invito: descrivere con precisione come hanno trascorso l'ultimo 27 settembre. "Nella stessa data del 1961", ci spiega Christa Wolf da Berlino, dove oggi vive, "fui tentata di provarci di nuovo. E, negli anni seguenti, mi divenne sempre più chiara l'utilità di fissare questo giorno sulla carta: per documentare quanto, per me, sia preziosa la vita quotidiana; come sostegno alla memoria contro la marea montante dell'oblio cui tutti noi siamo consegnati; per esercitare lo spirito d'osservazione e la precisione nel descrivere. In questo lavoro non è stato necessario inventare nulla, diversamente da quanto accade in letteratura. Il che ha implicato reprimere e tacere il meno possibile". Del resto, l'autenticità che caratterizza tutta l'opera della scrittrice tedesca diventa, in quest'ultimo lavoro, la chiave per spiegare l'intero flusso di un'esistenza: "Ho trovato molto presto la formula per il mio ideale di scrittura. Si può riassumere in due parole: autenticità soggettiva. Sono consapevole, anche scrivendo un diario, del fatto che non vedo le cose oggettivamente, ma attraverso i miei occhi; in altre parole, che io non produco una verità documentaria".
La vita personale (i rapporti con il marito, lo scrittore Gerhard Wolf, con le due figlie Annette e Tinka durante la loro crescita, poi con i nipoti e i numerosi amici), l'impegno politico (marxista convinta, Christa Wolf ha vissuto per scelta nella Repubblica Democratica Tedesca fino a che questa è esistita nel 1990), le riflessioni morali e politiche su quest'epoca e le difficoltà di una professione che è tutt'uno con la vita stessa ("Quando devo intraprendere un processo di scrittura molto vicino a me, alle mie problematiche, mi capita di dover superare un ostacolo prima di riuscire a dedicarmi quotidianamente al manoscritto. Ma io sento questa cosa come necessaria alla mia vita"), si intrecciano a conflitti, perdite, abbandoni, tradimenti, gioie in un diario intimo particolare, che costituisce un'opera fondamentale della letteratura tedesca contemporanea.
Un giorno all'anno colpisce anzitutto per la quantità di annotazioni quotidiane, anche banali, di una donna con una famiglia, prima ancora che di una scrittrice. Fin dal primo 27 settembre, quello del 1960, Christa Wolf parla dei preparativi per festeggiare, il giorno successivo, il compleanno della figlia minore Tinka, nata nel '56. Compare subito anche il marito Gerhard, conosciuto all'università, sposato nel 1951 e diventato presto il suo più stretto collaboratore. "Con lui discuto i miei piani", continua Wolf. "Lui mi conosce a fondo e sa, a volte meglio di me, dove mi porterà un tema. È Gerhard che, per primo, legge e commenta i miei manoscritti. Nella Ddr era estremamente importante poter discutere di questioni politiche con una persona fidata, cui aprirsi senza riserve. Da quindici anni, mio marito ha una casa editrice - la Janus Press - con cui pubblica letteratura sperimentale, con i contributi grafici di pittori amici. Essendo un amante dell'arte, mi ha aperto gli occhi sulla pittura".
Christa Wolf è anche una donna che lavora, con tutti i sensi di colpa del caso. "Ho avuto la mia prima figlia da giovane, e ho sempre vissuto e lavorato in una famiglia. Questo, naturalmente, ha significato affrontare tutti i problemi legati ai figli, alla casa da mandare avanti, a un lavoro esigente come quello della scrittura. Per contro, ho potuto sperimentare la ricchezza che regalano i bambini". Si considera una femminista ante litteram? "In senso occidentale, io non sono stata una femminista. Però mi sono interessata molto presto ai problemi delle donne con cui vivevo, e alla storia femminile nella nostra civiltà. Ho cercato di capire il significato del secolare dominio patriarcale nella nostra cultura e, tramite i miei libri, ho incoraggiato le donne a mettere in gioco la loro vita in ogni aspetto. Ho però l'impressione che, oggi, abbiamo smesso di lottare per la parità dei diritti: ci chiudiamo nelle rispettive carriere, non solidarizziamo più fra noi. L'egoismo, la freddezza fra lavoratori e lavoratrici non aiutano i legami; viceversa, mirano all'isolamento. In un'atmosfera del genere, è difficile sostenere gli interessi delle donne".
Chiediamo a Christa Wolf di parlarci di ciò che l'ha trattenuta nella Germania dell'Est, dove ha scelto di trascorrere tutta la vita: "Decisi di rimanere nella Ddr a condizione di poter continuare a scrivere liberamente e in maniera critica. È ciò che ho fatto con Cassandra. Questo è un Paese in decadenza, ma è anche quello che mi stava a cuore, e in cui molti avevano bisogno di noi". Tuttavia, in Un giorno all'anno si consuma chiaramente la progressiva disillusione politica sulla Ddr, al punto che la scrittrice dichiara, il 27 settembre 1980: "Non credo di potermi definire ancora marxista". Christa Wolf ce lo spiega così: "Come molti della mia generazione, dopo il crollo del nazionalsocialismo avevo riposto molte speranze in una nuova società, che avrebbe dovuto essere umana, libera e giusta. La Repubblica Federale, che nei primi anni del dopoguerra impiegava ex nazisti, per noi non era un'alternativa. Per contro, nella Ddr, strutture dogmatiche e burocratiche soffocavano gradualmente la creatività; inoltre spingevano ai margini, fuori dal Paese, o perseguitavano con misure punitive un numero sempre più grande di persone che volevano conservare una mentalità critica. Il 1989 decretò la fine dello Stato della Ddr e la riunione con la Repubblica Federale Tedesca. In quest'altra società, più permissiva e libera, i cittadini della ex Ddr si trovarono di fronte a nuovi problemi, alcuni molto gravi, come l'altissima disoccupazione". Esiste, allora, un'alternativa al capitalismo imperante? "Per ora non la vedo, anche se è chiaro che questo ordine economico non può garantire la sopravvivenza dell'umanità".
Mezzo secolo di storia tedesca, raccontato da una testimone eccellente, scorre fra le pagine del libro: dall'invasione sovietica della Cecoslovacchia nel '68 alla guerra fredda, dalla militanza di Wolf nel Partito socialista tedesco alle persecuzioni da parte della Stasi, dalla caduta del muro di Berlino alla difficile unione delle due Germanie. Un memoir di altissimo valore storico e documentario, come conferma la stessa autrice: "Ora che quaranta di queste giornate sono state pubblicate, mi accorgo che la loro somma ha più valore dei singoli pezzi accostati. Ne è scaturito qualcosa di simile alla fotografia di un'epoca, delineata da e su una determinata persona. E, davvero, dopo che la Ddr è scomparsa, in questi fogli è conservato, puro, qualcosa delle normali vite che conducevamo".
Della Germania attuale, Wolf preferisce non parlare. Non risponde alle domande su Angela Merkel o su Günther Grass (che pochi mesi fa ha dichiarato di aver aderito spontaneamente al nazismo), perché "non pertinenti all'ambito dell'intervista". Ma si può immaginare la costernazione e lo sdegno della scrittrice di fronte al passato di un amico e interlocutore privilegiato. Wolf appare molto più disponibile ad affrontare temi generici, come la vecchiaia ("Il passare degli anni è un processo che ci riguarda tutti, se viviamo tanto da vederlo. Io ho la fortuna di avere marito, figlie e nipoti, a rendere più facile il mio invecchiare. Non trovo, però, che la vecchiaia porti vantaggi, come alcuni sostengono"), la genesi di alcuni libri ("Tutti sono nati a partire da conflitti; sono parte della loro elaborazione. Se fossi una persona più felice e più libera dai conflitti, non dovrei scrivere") e la scrittura stessa ("Scrivo soprattutto sotto la spinta di un obbligo interiore: sento di dover chiarire a me stessa qualcosa che non riesco a formulare, che non ho ancora veramente compreso"). Nel libro, a pagine di meditazioni profonde sulla morte ("Io vivo tutti i giorni col pensiero della morte"), sulla civiltà contemporanea, sugli incontri con diversi intellettuali (Anna Seghers, Max Frisch, Günther Grass...) si alternano altre più frivole, su alcune letture insospettabili (come Patricia Highsmith o Fred Vargas), trasmissioni televisive seguite (Wolf è una grande fan dell'Ispettore Derrick) e specialità culinarie. Il tutto, all'insegna di una testimonianza in presa diretta ("Ho dovuto resistere alla tentazione di correggere, sulla base del pensiero odierno, vecchi errori di giudizio e valutazione").
"Guardando indietro, ma anche al momento presente", confessa Christa Wolf alla fine dell'incontro, "vedo la mia vita come un tessuto fitto, in cui tutti i singoli elementi sono intrecciati l'uno con l'altro: l'amore, la percezione della natura e dell'arte, la gioia, il dolore, l'amicizia, i rapporti con le persone, le conoscenze, le nuove convinzioni che si sviluppano, il processo di maturazione interiore e, naturalmente, la scrittura. Molte altre cose fanno ancora parte del tessuto, che è una ricchezza infinita di cui non mi voglio perdere niente. Tutto questo insieme è la vita che dà senso alla vita".
Ecco dunque come si racconta una vita, o meglio la vita. E qual è il senso di tanti giorni che, uno dopo l'altro, si trasformano in tempo vissuto. Anzi, nel migliore dei casi, in destino.
ChI È L'AUTRICE
Nata Christa Ihlenfeld nel 1929 a Landsberg an der Warthe, Germania, oggi Gorzów Wielkopolski, Polonia, per 40 anni è stata membro del Partito Socialista e per 30 sorvegliata dalla Stasi. Ha vinto i premi Heinrich Mann nel 1963, Georg Büchner nel 1980, Schiller Memorial nel 1983. Ha scritto di nazismo, femminismo, scoperta di sé. Tra i titoli:
Il cielo diviso, Cassandra, Sotto i tigli, Guasto, Notizie di un giorno, Recita estiva, Trama d'infanzia, Congedo dai fantasmi, Medea, In carne e ossa, Riflessioni su Christa T (tutti E/O).