È ancora una storia di donna. Quotidiana e un po' morbosa, come il mistero che da sempre avvolge il suo nome. Intrigante, come il gioco di società che il mondo culturale riprenderà a fare ora che questo nuovo romanzo, La figlia oscura, sarà (da venerdì) sugli scaffali delle librerie, edito, come gli altri, da e/o (pagine 142, euro 14,50). Chi c' è dietro Elena Ferrante, la scrittrice che nessuno ha mai visto, tranne il suo editore, Sandro Ferri, che anni fa la descrisse come una bella donna, allora sulla cinquantina, «bruna, alta, con gli occhi espressivi» e di cui una nota in fondo al libro dice solo che «è nata a Napoli, città che ha abbandonato presto per vivere a lungo all' estero» (in particolare in Grecia dicevano i volumi precedenti)?
Elena Ferrante non esiste, è l' opinione più diffusa. In realtà è Fabrizia Ramondino, si è detto. O forse Serena Vitale. No, è un uomo e cioè Goffredo Fofi (il primo che, tramite l' editore, le fece un' intervista scritta). Una coppia, Domenico Starnone e la moglie Anita Raja (traduttrice dal tedesco, curatrice per le edizioni e/o della collana in cui venne pubblicato il primo romanzo) è l' ultima ipotesi, dello scorso anno, dopo che sulla Stampa Luigi Galella aveva individuato delle ricorrenze stilistico-narrative tra L' amore molesto e Via Gemito di Starnone.
Oltre che nello stile di scrittura si cercheranno frammenti autobiografici nella vicenda raccontata in questo romanzo che, come L'amore molesto e I giorni dell' abbandono, si addentra nella mente di una donna, scava nei sentimenti, cerca di dare conto delle contraddizioni di un legame naturale e profondo come quello che una madre può avere con i propri figli. La protagonista di questo libro, Leda, è decisamente sorella di Delia dell' Amore molesto (Anna Bonaiuto nel film di Mario Martone) e di Olga dei Giorni dell' abbandono (Margherita Buy nel film di Roberto Faenza), donne complesse, alle prese con sbandamenti e «vuoti di senso», sul pericoloso crinale che separa la buona madre dalla cattiva madre, con la necessità di conoscersi e qualche crepa improvvisa che ogni tanto arriva a fessurare il difficile equilibrio della loro vita, inserendo un elemento di instabilità.
«Cominciai a sentirmi male dopo meno di un' ora di guida. Il bruciore al fianco riapparve ma per un po' decisi di non dargli peso. Mi preoccupai soltanto quando mi resi conto che non avevo le energie sufficienti per tenere il volante» è l' incipit del romanzo, strutturato come un evanescente giallo psicologico la cui soluzione, il motivo di quel dolore al fianco, si capisce soltanto alla fine. Qui non ci sono né Napoli né Torino, le due città che avevano fatto da sfondo ai libri precedenti, c' è un paesino di mare sulla costa ionica, e, in lontananza, Firenze. Leda, la protagonista, è un' insegnante di letteratura inglese, quarantottenne divorziata che si ritrova sola quando le due figlie ormai grandi raggiungono il padre in Canada: «Scoprii con imbarazzata meraviglia che non provavo alcun dolore, ma mi sentivo leggera come se solo allora le avessi definitivamente messe al mondo».
In questa fase di ritrovata libertà, in cui le pare quasi di avere dieci anni meno, Leda decide di passare l' estate al mare, dove, suo malgrado, entra in contatto con quella che a lei sembra soltanto una chiassosa e invadente famiglia napoletana, «uomini pesanti coi visi sbiaditi, donne di brutta ricchezza, bambini obesi» e che il bagnino invece bolla come «persone cattive». In particolare la sua attenzione viene attratta dalla giovane Nina e dalla sua bambina Elena che a quel gruppo familiare sembrano quasi estranee. Le ore di solitudine e ozio sulla spiaggia, la vicinanza con la giovane madre con cui sembra quasi identificarsi, il contributo al ritrovamento della piccola che, a un certo punto, si perde sulla spiaggia con la sua bambola, diventano l' occasione per riflettere sul rapporto ambivalente con le sue stesse figlie («le osservavo quando erano distratte, sentivo per loro una complicata alternanza di simpatia e antipatia... Di loro mi piacevano di più i tratti che derivavano dal padre, anche dopo che il matrimonio è burrascosamente finito. O quelli che rimandavano ad avi di cui non sapevo nulla. O quelli che sembravano, nella combinazione degli organismi, un' invenzione estrosa del caso»), le offrono il pretesto per rivelare, proprio a Nina, il suo peccato originale: averle abbandonate, dopo averle molto volute, quando erano piccole, lasciate per tre anni al marito, senza mai farsi sentire, prima di tornare per lo stesso motivo per cui se n' era andata, cioè per amore di se stessa. «Quello che cercavo - spiega a Nina - era un groviglio confuso di desideri e molta presunzione. Se fossi stata sfortunata avrei impiegato tutta la vita per accorgermene. Invece sono stata fortunata e ho impiegato solo tre anni. Tre anni e trentasei giorni».
La sua vicenda personale di madre si intreccia con quella di Nina, la calma iniziale di quella vacanza solitaria si trasforma in una profonda inquietudine che la porta a lasciarsi andare, a perdere il controllo di sé e delle proprie emozioni. Fino a compiere quel piccolo gesto insensato che fa precipitare gli eventi e porta a un finale che, questa volta, lascia il lettore un po' perplesso.