ROMA. Veronica De Laurentiis, la figlia di Silvana Mangano e di Dino De Laurentiis, è una donna ancora bella, con occhiaie profonde e malinconiche, da adulta. Veste di nero, come si usa negli Stati Uniti, e al collo ha una catenina con il ritratto del primo figlio, morto per un tumore. Ma è anche una donna infantile, capace di passare rapidamente da uno sguardo velato di lacrime a un sorriso largo, a denti scoperti. Dei quattro figli di quella che fu la coppia reale del cinema italiano, lui il produttore più potente, lei l’icona più chic, è la maggiore, la prima. Se glielo avessero permesso avrebbe voluto fare l’attrice: sua madre, però, disprezzava quel mestiere e disse di no, nonostante il padre, che l’aveva fatta debuttare nel kolossal «Waterloo» di Bondarciuk, avesse programmato per lei una fortunata carriera.
Invece si è sposata, ha avuto quattro bambini, si è separata, ha cominciato a disegnare vestiti, ha trovato un nuovo marito, ha ricominciato a recitare e adesso ha scritto un libro dedicato a sua madre, «Rivoglio la mia vita», una minuziosa biografia che esce in questi giorni per le Edizioni E/O a 16,50 euro, per 273 pagine. Ma siccome non è una scrittrice e non sa se potrà diventarlo, si è fatta aiutare da una che questo fa di mestiere, Anne M. Strik, che con lei firma.
Per scrivere queste pagine, racconta, ci ha messo più di dieci anni raccogliendo ritagli di giornali, interviste, fotografie. Tutto è cominciato alla fine degli Anni Ottanta, dopo la separazione da quello che per quindici anni è stato suo marito: quando ha scoperto che lui aveva abusato sessualmente delle loro figlie, lo ha denunciato, l’ha fatto condannare a quattordici anni di cui sette scontati in carcere per buona condotta, ha ottenuto lasciasse per sempre gli Stati Uniti dove lei e i suoi vivono ormai da tempo. E’ stato durante una lunga terapia psicologica che ha cominciato a buttar giù questi pensieri. Le serviva per rimettere insieme i pezzi, riconquistare la stima in se stessa, capire come aveva fatto a non accorgersi di niente, a non vedere, a non sentire. Le serviva a rimuovere i sensi di colpa, ad analizzare le sue origini, su, su fino ai nonni, a perdonare gli errori degli altri, ad assolversi. Una sola concessione alla riservatezza: i nomi dei figli e dell’ex marito sono stati cambiati.
Come ha saputo che il suo ex marito abusava sessualmente delle sue figlie?
«Una notte, quand’ero già separata, mentre ero in montagna per le vacanze di Natale, la mia figlia più grande mi fece una telefonata piangendo. Non riusciva a parlare. Non capivo cosa potesse esser successo. Le ho fatto cento domande. Alla fine le ho fatto anche quella. Ha confermato. E’ stata una tragedia».
Ha capito perché non aveva mai sospettato niente?
«Alla fine sì, ho capito. Mi sono sposata giovanissima perché mia madre che adoravo mi aveva proibito di fare cinema. Ero impreparata alla vita. A casa si parlava pochissimo. Mio padre, di carattere più aperto, era preso dal lavoro. Mia madre restava ore in silenzio a ricamare, e quel rumore del filo che trapassa il tessuto lo sento ancora nelle orecchie. Non ero abituata a far domande: mi avevano educata a ubbidire».
Che matrimonio era il suo?
«Infelice. Lui era prepotente, irascibile. Mi mortificava davanti ai bambini. Non c’era confidenza. Dopo la nascita del quarto figlio separammo le camere da letto. Diceva che ero diventata troppo vecchia per fare l’amore. Non avevo neanche potuto confessargli che, quand’ero ancora una ragazzina, un uomo aveva abusato di me. Era un segreto, quello, che non avevo mai potuto raccontare. E mi pesava».
La condanna del suo ex marito sarà stata molto difficile da sopportare per i suoi figli.
«Abbiamo fatto ore di analisi, insieme e da soli. Abbiamo riflettuto a lungo. Oggi stanno bene. Mi ha aiutato molto mia sorella Francesca che si occupa di terapia familiare. Arrivare alla verità, dichiararla, renderla pubblica è una liberazione. Mio padre, che è all’antica, sostiene che quel che mi è successo è una cosa che bisognerebbe tacere. Invece io sono convinta che gli abusi sessuali, le violenze domestiche possono capitare in qualsiasi famiglia, e che non c’è da vergognarsi. Occorre avere la forza di ribellarsi, troncare, denunciare. E poi ricominciare. Io l’ho fatto».