Lunico scrittore buono è quello morto
Data: 18 gennaio 2012
Esce domani, per le Edizioni e/o, L’unico scrittore buono è quello morto, l’ultimo libro di Marco Rossari. Da qualche tempo, Marco si è preso una pausa dal Primo amore, per cui do io l’annuncio dell’uscita di questa raccolta, che arriva dopo qualche anno di silenzio editoriale. Si tratta di una serie di racconti, apologhi, accensioni che ruotano attorno al mondo della letteratura, e, leggendo, vi potrà per esempio capitare di fare compagnia a un Joyce disperato e poverissimo che tenta di portare a termine La veglia di Finnegan, o di fare un giro per una città chiamata Kafkania, la cui maggiore attrattiva sono dei bordelli dai nomi bizzarri e già sentiti, o, ancora, di volare in una San Francisco dove tutti gli abitanti sono sosia di scrittori beat. Per far sentire un po’ la voce di Marco, metto qui di seguito un breve estratto di uno degli episodi della raccolta. [A.T.]
La strada è vuota. Nascita e morte dell’ultimo beat
A Heathrow mi ha preso lo sconforto.
Sarà stato il cielo nero sopra lo scalo londinese o la notte in bianco a rimuginare sul viaggio, fatto sta che quando ho tirato fuori il blocco e provato a buttare giù qualche appunto non è uscito niente. La rilettura di pagine e storia inerenti a Jack Kerouac e al revival beat mi lasciava del tutto insensibile. Che vicenda triste: tutta una rincorsa verso la pubblicazione e il successo, una corda tesa allo spasimo verso quella benedetta pagina, finché quella maledetta pagina non viene data alle stampe e lui si ritira in un angolo, sconsolato. Allontana i curiosi, regredisce all’infanzia, scrive poco e male. Muore.
Erano anni che lottavo per lasciarmi alle spalle quel mito stantio, quell’epopea ingannevole, e relegarla nell’ambito delle passioni adolescenziali, tanto feconde di sbornie quanto avide d’ispirazione. Leggi Sulla strada e dopo quattro rum hai l’impressione di avere un romanzo grande come il mondo, mentre ti resta solo il mal di testa.
Invece proprio da quel libro dipendeva la mia grande occasione.
Dopo dieci anni di piccolo cabotaggio nella redazione locale e qualche puntatina sulle pagine nazionali, ero stato convocato in redazione poco prima di Ferragosto. Colloquio con il vicedirettore, nientepopodimeno.
“Ciao Pomerai, siediti.”
“Grazie.”
“Che cazzo ci fai ancora in città?”
Ho le pezze al culo, avrei dovuto rispondere nello stile schietto del veterano, e invece: “Mi piace la città ad agosto”.
“Beato te, a me fa cagare. E quello stronzo del direttore non fa che chiamare dalla barca per rompermi i coglioni su un refuso a pagina dodici, fortuna che domani mi levo dal cazzo pure io.”
“Stile schietto del veterano, eh?”
“Come?”
“Niente.”
“Ascolta, è il tuo giorno fortunato: Monsanto doveva andare a San Francisco per un articolone su Jack Kerouac e la beat generation, ma si è spaccato la testa tuffandosi nella parte bassa di una piscina a Riccione. Ridi, ridi pure, bisogna essere delle vere teste di cazzo per combinare una cosa simile. Morale: non sappiamo più chi mandarci e il viaggio è stato già spesato da TourismIsNihilism, l’ente locale americano: vogliono alimentare il mito della città hippy, strafatta, tossica grazie al rinvenimento del famoso scroll, quello dove Kerouac ha scrollato quel romanzo della minchia. Ci sarà un’esposizione, un vernissage, che cazzo ne so… Sprecare l’occasione è un peccato. Qualche cazzaro mi ha detto che tu sei un lettore onnivoro, immagino che ti sarai sciroppato qualcosa di Kerouac e compari…”
“Altroché.”
“Ecco, allora prepara le valigie: ti fai una bella gitarella e mi scrivi un paginone centrale per settembre, in due o tre puntate.”
“Un reportage?”
“Una marchetta. Se mi fai un buon lavoro, chi lo sa…”
Un invito a soffiare la poltrona a Monsanto… D’altra parte agosto è sempre stato il momento dei putsch e per il mio collega non avevo mai nutrito una grande simpatia. Per le piscine di Riccione, invece sì.
“Però…” aveva aggiunto il vicedirettore.
“Però?”
“Però scrivimi qualcosa di originale, non rifilarmi la solita frittatina di angeli, desolazione, dharma, sogni e vanità. Ma neppure propinami il Kerouac mammone, quello che non aveva nemmeno la patente, l’anticomunista viscerale: l’hanno già voltato e rivoltato come un calzino. Hanno stampato la storia e la leggenda.”
“E quindi che taglio devo dare?”
“Dacci un taglio e basta. Ti devo spiegare tutto io, porca troia? Trova qualcosa di nuovo, senti che aria tira. Se TourismIsNihilism è disposto a sganciare una somma simile per uno sfigato come te allora gatta ci cova.”
“Cazzo, sì.”
“Così mi piaci. Parti fra una settimana. Giù in segreteria ti forniranno tutti i particolari.”
Mi ero alzato e avevo preso la porta.
“Pomerai…”
“Sì?”
“Ancora una cosa. Hai presente quella frase idiota che sbattono sempre in copertina sui tascabili di Sulla strada?”
“Quella che più o meno recita: ‘Dobbiamo andare e non fermarci finché non siamo arrivati.’ ‘Andare dove?’ ‘Non lo so, ma dobbiamo andare’?”
“Esatto, quella… Il giornalismo è la stessa cosa, non dimenticartelo.”
“Devo andare e basta?”
“Sì, affanculo!”
Riuscivo ancora a sentire il fragore della sua risata.