Una storia che forse i puristi della moda farebbero meglio a non leggere perché Camelia, la protagonista di questo romanzo, gli abiti nuovi, insomma quelli all’ultimo grido puliti e stirati, li getta. A volte li taglia anche, non fanno proprio per lei. Meglio rifugiarsi negli scarti di un sarto che la ragazza trova in un cassonetto nei pressi della sua abitazione di Cristhoper Road a Leeds, una città del Regno Unito dove vive con la madre e "dove l'inverno è cominciato da così tanto tempo che nessuno è abbastanza vecchio da aver visto cosa c'era prima”. Abiti tropo stretti, troppo corti, maniche cucite sul sedere, scollature fino all’ombelico. Errori imperdonabili per un professionista che rendono i capi di una bruttezza unica, disarmante e che Camelia decide di sottoporre ad’ulteriori deformazioni. Questo è il modo che la ragazza sceglie per comunicare al mondo il suo disagio, la sua ribellione contro la bellezza della vita che le è stata negata, una bellezza da cui si sente esclusa.
Tre anni prima, nel dicembre 2004, il padre muore finendo con l’automobile in un fosso mentre era insieme alla sua amante. Da allora la madre si è chiusa in un ermetico mutismo e le due donne si trovano a comunicare solo con un alfabeto fatto di sguardi. Nella casa piena di muffa di Cristhoper Road la vita scorre lentamente. Le giornate sono scandite dalle ossessioni della madre che si aggira sporca per le stanze della casa e fotografa qualsiasi tipo di buco, quelli delle tende, del formaggio e delle pareti. Camelia, dopo aver lasciato i suoi studi universitari di cinese, si dedica totalmente alla traduzione di manuali di istruzioni per lavatrici. Anche lei
ha un’ossessione, quella degli oblò che le ricordano tanto il buco in cui suo padre è precipitato e con lui anche tutta la felicità della famiglia. Un buco nero dal quale Camelia riuscirà ad riemergere grazie all’incontro con Wen, un ragazzo cinese che lavora in un negozio di vestiti e che le insegna la sua lingua. La protagonista torna allora ad apprezzare le parole che iniziano ad uscire come un fiume in piena dalla sua bocca, parole d’amore per il suo insegnante. Anche nella vita della madre appare un uomo. Ma proprio quando le cose sembrano andare per il verso giusto, Wen la respinge senza spiegarle il vero motivo. Il ragazzo porta dentro di sé dei segreti inconfessabili in cui sono coinvolti un bizzarro fratello e un’ex ragazza, di cui si sono perse le tracce. Inutile sperare in un lieto fine, la casa di Cristhoper Road non sembra proprio essere nata per la felicità e inevitabilmente a Leeds torna l’inverno che congela ogni speranza.
Settanta acrilico trenta lana, un romanzo dalla forte impronta dark nato dalla penna di Viola Di Grado, ventitreenne laureata in lingue orientali a Torino, Erasmus a Leeds e ora si sta specializzando in filosofia cinese a Londra. Il racconto in realtà Viola lo ha terminato di scrivere due anni fa. A soli 21 anni è riuscita a toccare argomenti che normalmente non appartengono a questa fascia di età, con una maturità letteraria che colpisce. Il libro è uscito solo da poche settimane ma già se ne sta parlando come di un nuovo caso letterario. Caso letterario o meno, è importante e positivo notare come le case editrici italiane stiano, sulla scia di Silvia Avallone autrice di Acciaio e di Paolo Giordano che con il suo La solitudine dei numeri primi ha ottenuto nel 2008 il premio Strega, finalmente puntando sui giovani talenti italiani.