Ruanda, ultimo (o penultimo) tabù. Il ricordo rimosso dalla Francia, ma anche dalle Nazioni Unite. Il fallimento dei pacieri internazionali che si credevano onnipotenti e, forse, non disdegnavano il doppio gioco. È un thriller con genocidio - un milione di morti a colpi di machete in cento giorni - il nuovo libro dello scrittore normanno Michel Bussi, autore di una ventina di gialli molto popolari, come Ninfee nere , Tempo assassino , I due castelli ...
Alla vigilia del bagno di sangue, nel 1993, Bussi era ancora un professore di Geografia all'università di Rouen e, a Kigali, sarebbe atterrato solamente trent'anni dopo, durante la preparazione di questo poliziesco molto diverso dagli altri: Le ombre del mondo , tradotto da Alberto Bracci Testasecca per e/o. Dieci giorni di interviste e sopralluoghi, preceduti da anni di studi su testimonianze, carte processuali, giornali dell'epoca hanno prodotto centinaia di pagine dove s'intrecciano - senza soluzione di continuità - storia e fantasia, coabitano e dialogano personaggi reali e immaginari, in una ricostruzione che lascia pochi dubbi sulle responsabilità, l'ignoranza, il cinismo, le connivenze che lastricarono la strada per l'inferno di centinaia di migliaia di famiglie ruandesi, sterminate soltanto perché appartenenti all'etnia tutsi. O perché, pur essendo hutu, erano troppo concilianti o addirittura protettive con il nemico.
Sullo sfondo ci sono il Ruanda com'era, tra il 1990 e il 1994, l'intervento francese in appoggio al presidente Juvénal Habyarimana e al suo clan di estremisti hutu, i madornali errori di valutazione commessi a Parigi, le esitazioni fatali. In primo piano c'è, trent'anni dopo, il viaggio avventuroso nel Paese trasfigurato di un'adolescente, Maé, nata e cresciuta in Francia, in compagnia di sua madre, Aline, scampata al massacro quando aveva tre anni, del nonno, Jorik Arteta, ex paracadutista francese, e del diario della nonna ruandese mai conosciuta, Espérance, adorata moglie di lui scomparsa durante le stragi dopo aver salvato la loro bambina di sangue misto.
Le voci dei protagonisti si alternano, capitolo dopo capitolo, colpo di scena dopo colpo di scena e quella che doveva essere per Maé un bel dono, la gita naturalistica alla scoperta dei gorilla nel Parco del Virunga, si trasforma invece nell'esplorazione, piena di imprevisti, delle proprie radici. Di più: un tuffo in un intrigo ancora irrisolto fra reduci, spie, criminali latitanti e l'introvabile scatola nera che potrebbe svelare finalmente chi abbia abbattuto, il 6 aprile 1994, l'aereo su cui viaggiava il presidente Habyarimana, scatenando per rappresaglia il genocidio. E, questa, è storia vera. (...)