Molta documentazione, raccolta ritagliando articoli e incontrando persone del "giro" giusto. Poi lascia decantare il tutto, il tempo che l'idea iniziale si arricchisca di elementi " narrativamente" significativi. Infine, il corpo a corpo con la scrittura, fino a quando si mette la parola fine.
Lavora così Massimo Carlotto, coltivando le sue passioni e sbrogliando continuamente il bandolo della sua "magnifica ossessione", usare il noir come una sofisticata macchina da guerra per "narrare" il lato oscuro della realtà italiana; o per parlare delle enormi tragedie - i desaparecidos argentini di origine italiana, ad esempio - della storia novecentesca, che hanno oramai poco spazio sui mass-media italiani.
C'e' da domandarsi però se il lavoro investigativo che fornisce il background dei sui romanzi gli consenta di costruire storie avvincenti.
Fino ad ora la risposta e' positiva. L'autore evita abilmente ripetitività e stereotipi arricchendo la psicologia dei personaggi che compongono la galleria della serie dedicata all'Alligatore, detective malinconico e inguaribilmente ingenuo, che indaga sul lato oscuro della realtà italiana. In questo romanzo siamo sempre nel nord-est e ritroviamo tutti i personaggi presenti nelle altre storie che hanno come protagonista l'Alligatore.
C'e' il malavitoso old style Rossini, uomo di poche parole, ma con una rigorosa etica che lo porta sempre dalla parte della ragione; c'e' Max la memoria, un quarantenne con trascorsi nella sinistra radicale marxista degli anni settanta che raccoglie informazioni sui potenti vecchi e nuovi (materiale che torna sempre utile nelle inchieste in cui e' coinvolto).
E un corollario di varia umanità, indispensabile scenario dell'affresco che Carlotto vuol costruire: in questo caso, l'illegalità' come ragion d'essere dei corpi speciali d'indagine, veri e propri corpi separati dello stato che hanno la consuetudine di fare carta straccia del diritto in nome del rispetto della legge. Infine, lo scrittore di origine veneta non dimentica l'amata America Latina, che entra in scena con narcotrafficanti e militari colombiani che massacrano i contadini del loro paese per sconfiggere i "maledetti guerriglieri marxisti". E tuttavia la domanda che il corriere colombiano pone e' se il noir puo' essere usato come grimaldello per una critica radicale sovversiva dell'ordine costitutivo.
Domanda che accompagna il romanzo di genere da quando il successo editoriale lo ha fatto diventare un fenomeno importante della cultura di massa, come sottolinea Siegfried Kracauer nella sua indagine sul Romanzo poliziesco, e da quando Dashiell Hammet "inventò" Sam Spade, detective amaro e disincantato le cui riflessioni costituiscono, ancora oggi, la critica più spietata ai "nuovi ricchi" della vecchia Los Angeles. Neanche l'altro grande dell'hard-boiled, Raymond Chandler, riuscì a ricondurre a ragione la corrosività di Hammett. Sovversivo il primo, tranquillizzante il secondo, sono però entrambi espressione del loro tempo e dei rapporti di forza della società.
E se Hammett risentiva del duro clima degli anni trenta e quaranta e delle brevi vittorie - il New Deal - e delle brucianti sconfitte subite dal movimento operaio americano (la lenta trasformazione del sindacato in strumento della lotta ai "rossi"), Chandler spinge il detective Marlowe nell'angusto studio dello psicoanalista a far da scomodo testimone della nevrosi della società americana, deprivando cosi' l'hard boiled della sua carica sovversiva. Dovevano passare alcuni decenni perché questo genere di romanzi ritrovasse il suo splendore con il reazionario James Ellroy.
Questi negli Stati Uniti, patria dell'hard boiled. Non tanto diverso e' quello che e' accaduto nel vecchio continente, in particolar modo in Francia, dove il noir e' servito a una generazione di militanti politici a sopravvivere e a esercitare l'arma della critica dopo aver passato indenni il crinale che ha separato l'insurrezione del maggio parigino e la sua rinuncia all'assalto del cielo, rinuncia che costituisce un mistero storico e politico del lungo Novecento. Ed e' quindi in Francia che il noir viene usato come formula per romanzi eminentemente politici, dove alle atmosfere spesse di George Simenon subentrano i rumori inquietanti delle banlieues; e dove i peccati della piccola borghesia, raccontati mirabilmente dall'inventore del commissario Maigret, lasciano il posto al desiderio di rivolta di un milieu multietnico messo ai margini delle ferree leggi dell'impresa capitalistica.
In Italia, invece, e' tutto diverso, perché non c'e' mai stata una robusta tradizione relativa all'hard boiled. Casi isolati, scrittori che hanno pubblicato con pseudonimi, scegliendo come scenario la lontana Amerika, niente di più. Solo da alcuni anni c'e' una "nuova leva" di scrittori che non si nascondono dietro a uno pseudonimo, ma rivendicano orgogliosamente di scrivere noir, segno che il problema non e' piu' se si fa letteratura "alta" o "bassa", quanto di riuscire a narrare lo "spirito del tempo".
Ma sono autori che non si spingono mai al limite del genere, mai lo forzano, mai compiono quell'indispensabile operazione di adesione al genere, per forzare, e quindi ampliare l'orizzonte narrativo stabilito per il noir. Perché il noir e' sempre stato combattuto tra la denuncia sociale e il timore delle implicazioni insite in una sua deriva "politica".
Hammett e' un grande scrittore, perché riesce a fare quello che non si poteva più fare negli Stati Uniti, cioè partire dal "furore" espresso dai "vagabondi" del sogno americano per denunciare l'orrore dell'american way of life. Carlotto sceglie questa opzione. Il campo d'azione e' l'inferno del nord-est, dove non ci sono marginali da raccontare: semmai va narrata l'elevazione a sistema della marginalità. Non ci sono infatti devianti e normali. Tutti sono, al tempo stesso, normali e devianti, perché il nord-est e' l'esemplificazione di come la produzione di ricchezza stabilisce fluidamente i confini tra norma e devianza.
Per questo, Carlotto va considerato come l'unico scrittore italiano che persegua con continuità l'uso "politico" del noir, senza porsi però come maestro di altri che hanno intrapreso la stessa strada. E ogni volta e' sempre più amaro, e non concede nulla ai buoni sentimenti, neanche la consolazione di un provvisorio happy end.
Perché l'importante non e' vincere una partita, ma arrivare pronti al gran finale.