Due popoli due Stati: due "Stati-nazione". Da decenni, ancora in questi mesi di atrocità cominciati un anno fa con l'ecatombe terrorista compiuta da Hamas in Israele e proseguiti con la distruzione sistematica di Gaza e dei suoi abitanti condotta da Netanyahu, è questo l'orizzonte indicato da quasi tutti coloro che invocano una stabile pacificazione nella guerra infinita che si combatte da 80 anni in quella che per entrambi i popoli in questione è la Palestina (in ebraico Pelesheth; in arabo Filastin ).
E se la soluzione fosse in un opposto "altrove"? A suggerirlo è un libro appena uscito: s'intitola Israele-Palestina. Oltre i nazionalismi (edizioni e/o), lo ha curato Bruno Montesano, giovane ricercatore, e raccoglie diversi contributi: di studiosi italiani (Luigi Manconi, Maria Grazia Meriggi, Anna Momigliano, Mario Ricciardi) e poi di artisti e intellettuali accomunati da quella che Amin Maalouf chiama "identità multipla": lo stesso Montesano, ebreo di famiglia mista italo-argentina, la poeta palestinese americana Hala Alyan, la scrittrice ebrea americana Arielle Angel, il sociologo iraniano americano Asef Bayat, la giornalista ebrea italo-israeliana Sarah Parenzo, la scrittrice Widad Tamimi di madre ebrea e padre palestinese. Nella sua bella introduzione Montesano parte da un giudizio radicalmente critico su come si è sviluppato in Italia il dibattito pubblico intorno al 7 ottobre e all'invasione di Gaza, all'insegna di uno stucchevole scontro dialettico tra opposte "tifoserie". Da una parte poca o nessuna solidarietà verso le vittime israeliane del 7 ottobre trattate come "danni collaterali" più che giustificati di una sacrosanta lotta anticoloniale, dall'altra minimizzazione o peggio giustificazione del massacro compiuto a Gaza dagli israeliani e uso strumentale dell'accusa di antisemitismo contro chiunque addebita responsabilità criminali al governo Netanyahu, fino all'indecente alleanza filo-israeliana tra buona parte delle rappresentanze ebraiche in Italia e i postfascisti nelle cui vene ideologiche scorre abbondante antisemitismo.
Filo conduttore del discorso di Montesano e in generale del libro è l'idea che l'attuale apparente «irrisolvibilità» del conflitto israelo-palestinese sia tutta nel concetto di Stato-nazione: lo Stato «sionista» costruito da Israele dal 1948, lo Stato agognato dai palestinesi.
Uno e l'altro concepiti da popoli «vittime» come sola strada plausibile per emanciparsi dalla condizione di perseguitati, uno e l'altro radicati nella convinzione nazionalista che Stato e nazione - Stato ed etnia - debbano coincidere.
Questa visione produce disumanizzazione dell'altro da parte di ognuna delle due parti, alimenta le devastanti, speculari utopie della "grande Israele" e di una Palestina senza ebrei "from the river to the sea". È anche e sempre di più una visione irrealistica: le centinaia di insediamenti israeliani in Cisgiordania, la discontinuità territoriale tra Cisgiordania e Gaza fanno ormai assomigliare l'ipotesi dei due Stati a un puzzle impazzito. Certo, oggi la possibilità che nasca uno Stato "non-nazione", uno Stato "from the river to the sea" in cui convivano con pari diritti ebrei e palestinesi, non pare meno improbabile. Ma come conclude il suo saggio Montesano citando l'indiano-africano Mahmood Mamdani, autorità indiscussa negli studi post-coloniali e anche lui un buon esempio di identità multipla, «nessuna vera soluzione al dramma israelo-palestinese verrà mai senza separare le maggioranze etniche, le nazioni, dallo Stato per far sì che le maggioranze che lo governano si determinino democraticamente, attraverso un processo politico che prescinda dalla loro identità culturale».