Si può anche parlare di romanzo in tre atti a proposito di Bocca di strega , con il quale Sacha Naspini è tornato a una linearità narrativa dopo il precedente Errore 404 , nel quale non esitiamo a confessare di esserci persi. Tre atti come tre momenti nei quali, tra l'altro, viene di fatto ricostruito - ma sempre partendo dai personaggi - il quadro storico del fenomeno dei tombaroli di Baratti e della val di Cornia, che nel 1972 del romanzo conosce un momento di svolta quando, su un mercato divenuto multimiliardario con l'intervento dei collezionisti californiani, pongono gli occhi bande della Tuscia e trafficanti di Roma.
Al centro Bardo, all'anagrafe Guido Sacchetti, un «fenomeno che i tombaroli venerano ancora come un santo» essendo cominciato tutto da lui durante la Seconda guerra, «trasformando il promontorio in una groviera», muovendosi «solo nel fitto dei boschi, in quel mare di sepolture da aprire come scatolette tombe a tumulo, a fossa, a pozzetto. Perfino a camera», e poi con quei tre compagni (Alarico, Biondo e Leagro) che prende con sé dando «a ognuno un pezzo clamoroso. Ma con la raccomandazione di prendere quei capitali e nasconderli bene» dimenticandoli per un po'. Un lavoro di cui beneficiano tutti in val di Cornia, tanto che «in pochi anni Guido Sacchetti ha messo su una maglia di gratitudini capace di spalancargli le porte di mezza provincia. Tutti sono pronti a giurare il falso pur di coprirlo», carabinieri e parroco don Fernando compresi.
La situazione conosce una svolta quando, per un'intossicazione da gas del sottosuolo, Giovanni, il figlio portato con sé negli scavi e che per questa «avventura con i gas» subito chiamato Veleno, la moglie Elisa si scontra con quel marito che nonostante tutto, «nell'incredulità generale, continua a volerla riportare a sé», sempre più deperendo, sino a una tragica fine, a 43 anni, nell'ottobre 1971. Con Barco, sempre più chiuso, che neanche cinque mesi dopo scompare, «preso dal mare», con Veleno che si ritrova in carico la banda e la gestione del ristorante La Conchiglia.
A questo punto lui e la banda diventano protagonisti del romanzo, ciascuno la propria storia e qualità di tombarolo, e rivivono gli ultimi momenti già critici di Bardo. Ed è il secondo atto: con ora i viterbesi, ora il trafficante romano che a sua volta «teneva i tombaroli di Tuscia in pugno»: tal Corrado Ascanio, sempre intento a imbarcare «miliardi con il traffico dei reperti», ma la cui vera passione restava la musica, che vengono a «chieder ragione» dei ritardi nelle consegne, «dando le scadenze». (...)