L’ispettore Avi Avraham vive e lavora nella periferia di Tel Aviv, ai margini, non solo simbolicamente, della retorica nazionale che trasforma talvolta anche la fiction in un manifesto politico, e che lui rifugge apertamente. Al contrario, è abituato a misurarsi con ferite e dolori privati, con violenze che attraversano le famiglie e gli affetti più intimi, lontano dai riflettori della grande Storia. In Fede, l’ultimo romanzo della serie del poliziotto introverso e riflessivo, appena pubblicato da e/o (traduzione di Alessandra Shomroni, pp. 264, euro 18,50), Avi sarà però costretto a misurarsi con la violenza che cresce fin dentro le istituzioni, specie quelle legate alla «sicurezza nazionale» e con le spinte razziste che scuotono la società in cui vive: per la prima volta guarderà in faccia alcune delle minacce che gravano, ma dall’interno, sulla società israeliana. Ex giornalista delle pagine culturali di Haaretz, docente di letteratura poliziesca all’Università di Tel Aviv, Dror Mishani è una delle figure più significative del noir israeliano: dei suoi romanzi, nel nostro Paese sono già stati tradotti Un caso di scomparsa (Guanda, 2013), Un’ipotesi di violenza (Guanda, 2015) e Tre (e/o, 2020).
Avi Avraham è solito indagare sul crimine e la violenza come aspetti individuali, sul «male» che ciascuno può scoprire di portarsi dentro. In «Fede» si imbatte in un mistero che chiama in causa lo Stato e lo stesso Mossad. La reazione dell’ispettore ci dice qualcosa della sua personalità e del suo sguardo sulla società israeliana?
Ho iniziato a scrivere questo romanzo consapevole che stavolta non avrei esplorato soltanto i molti aspetti della violenza individuale, ma anche i legami che tutto ciò può avere con la violenza dello Stato. In particolare, mi interessava analizzare in quale misura la violenza che esprime ciascuno di noi è resa possibile, se non a volte addirittura incoraggiata, dall’ideologia dello Stato. La struttura stessa del romanzo si è sviluppata intorno a questi interrogativi, per dare corpo ai miei dubbi: così ho cercato di collegare due diverse indagini, in apparenza lontane, ma che alla fine credo esprimano una sorta di eco l’una nell’altra. All’inizio del romanzo Avi immagina di diventare un «eroe nazionale», un «agente» dello Stato e non un semplice poliziotto. Ma, alla fine della storia, questa possibilità non gli sembra più tanto desiderabile e nella sua mente prende forma un nuovo sogno: al contrario, agire contro lo strapotere dello Stato e le sue organizzazioni, come il Mossad.
Lo scrittore Dror Mishani
Mentre affronta questa indagine, Avi legge «Il contesto» di Leonardo Sciascia, uno dei libri dell’autore siciliano che meglio affrontano il tema del potere e della violenza che ad esso è legata. Perché questa scelta e in che misura l’Italia analizzata da Sciascia assomiglia alla realtà che lei e Avi avete intorno?
Avi ha appena ricevuto in regalo dalla moglie «Il contesto», ma in realtà non comincerà a leggerlo che verso la fine del libro. Solo allora riesce a concedersi una pausa e ad aprire questo bellissimo romanzo, e credo che grazie a Sciascia apprenda subito qualcosa sul potere oscuro dello Stato e sulla manipolazione della verità che i suoi organi operano di continuo, e questo nonostante le differenze tra la società italiana dell’epoca e quella israeliana di oggi. Sciascia e i suoi romanzi polizieschi hanno in ogni caso ispirato esplicitamente la scrittura di Fede. Quando ho capito che avrei voluto scrivere un «giallo» più politico del solito, mi è stato subito chiaro che Sciascia mi avrebbe fatto da ispirazione e modello. Nessuno meglio di lui ha saputo analizzare proprio l’intreccio tra la violenza degli individui e quella dello Stato. Ma, ad essere sincero, lo scrittore di Racalmuto mi è servito da stimolo anche per le questioni metafisiche che si affrontano nelle pagine di Fede. Mi riferisco in particolare al suo modo di utilizzare il romanzo poliziesco per esprimere dubbi sulla capacità degli esseri umani di arrivare a conoscere davvero la verità. Penso a La scomparsa di Majorana, il suo romanzo che preferisco. (...)