«Si lega a stretto filo con il precedente Arenaria questo The Washington Tales. I racconti di Vasìnto di Paolo Teobaldi: dove il nome proprio di persona si dà nella versione da pronuncia di Washington , sul tipo di «Niù-Iòrk , mica Nuova Iòrche», come diceva «correttamente» il «povero nonno» emigrante reduce dagli Stati Uniti, per questo da tutti a sua volta chiamato in città «California». Un'emigrazione il cui esito è narrato a rate ai nipoti: inizialmente come fallimento («non aveva fatto i soldi però aveva imparato un po' d'americano»); salvo poi ammettere che in realtà «in California aveva fatto un sacco di soldi e guadagnato il soprannome»; «coi quali, tornato in Italia, aveva comprato il palazzone di fronte all'osteria».
Il capitale però viene così ben presto dilapidato - «sbangiolando» con un viavai di donne che riceveva nella «locanda», all'ultimo piano del palazzone, nota all'io narrante bambino come immaginosa «sala giochi» - che «ai figli non aveva lasciato una lira, tanto è vero che loro non avevano neanche finito le elementari ed erano dovuti andare a lavorare subito dopo la terza, appena passato l'esame di proscioglimento, tutti a bottega per imparare un mestiere».
Una famiglia di «porétti, anche se non proprio con le pezze al culo», dunque i Salón (il protagonista è un abile falegname); nella «condizione di parenti rimasti sul lastrico, che abitano sì in città, ma «nei seminterrati del quartiere» dove stanno «in affitto, le famiglie di operai», mentre «al piano terra (in realtà leggermente rialzato) famiglie, sempre in affitto, di un ceto più alto; sopra invece, al primo piano, per non dire al piano nobile, abitava la famiglia del proprietario; e infine sopra-sopra, nel sottotetto, dove riusciva a stare in piedi solo sotto il colmo, la serva».
Anche se poi è sempre all'aperto che vengono offerti i diciotto racconti; i quali, fatto salvo qualche sguardo all'indietro, negli anni del fascismo, rispettano una sostanziale continuità cronologica seguendo dappresso l'esperienza vissuta dal vero protagonista del libro, quella che l'io narrante che si fa trasmettitore di queste storie chiama il «Padre narratore». (...)