La prosa di Perrier è piacevole: poetica senza essere barocca, ricca di metafore e di parole abbinate in modo curioso, inusuale e azzeccato:
Dalle finestre della cucina guardiamo il timido calore ridare gradualmente vita ai muschi del frutteto e alle tovaglie d’erba azzurra del giardino dormiente. Dopo tre giorni o una settimana che fa più caldo abbandoniamo i maglioni della bisnonna sugli schienali delle sedie, dove rimangono ansimanti con le lunghe maniche che strusciano sul pavimento mielato di sole. Ci stiracchiamo come gatti pigri che riemergano dalla siesta, felici come un funambolo che si allunghi nell’ora dorata di uno zenit nuovo.
L’effetto che ottiene è quello di una sorta di diario, senza date e luoghi se non un’indicazione, generica eppure tanto fondamentale, sul periodo dell’anno in cui gli eventi si sono svolti. La lettura di Le guerre preziose può essere per ciascuno un’esperienza diversa. Per qualcuno sarà un romanzo piacevole da leggere in una lunga domenica primaverile; per altri, una malinconica gita fra memorie familiari in cui chiunque si può rispecchiare. Infine, può soprattutto essere un’immersione dentro le vite di persone che, un tempo, hanno abitato e sono state felici in qualcuna delle molte cascine abbandonate che ogni tanto incontriamo in campagna, e che da fuori ci appaiono solo ruderi.