Il disagio di sentirsi straniero ovunque, tanto nel paese di origine quanto in quello in cui ci si è trasferiti, è un tema ricorrente, se non inevitabile, per chi scrive in un contesto che, in qualche misura, appartiene all'alveo della migrazione. Emanuela Anechoum - trentaduenne, nata a Reggio Calabria, vissuta per qualche anno a Londra, ora di casa a Roma - in questo suo interessante romanzo d'esordio, Tangerinn , racconta invece storie di migrazione con un punto di vista differente: per la protagonista Mina, il disagio sembra essere quello di ritrovarsi con un luogo da chiamare «casa mia». Lì, infatti, si sentirebbe sotto vetro, riconosciuta, inquadrata, mentre lei, ovunque insoddisfatta di sé, usa l'andarsene come un sottrarsi, uno scomparire nell'anonimato. Mina è nata in un paesino di mare dell'Italia del sud, dal padre Omar, marocchino, e dalla madre Berta, italiana. La vicenda inizia al tempo presente con Mina a Londra, dove vive, o meglio sopravvive come assistant manager in un punto vendita di una catena di ristorazione salutistica, ed è ospite a casa di Liz, amica ricca altoborghese, bella e perfetta, progressista ed egoista, vampiresca mecenate e mentore di Mina. Mina riceve una telefonata dalla sorella Aisha, rimasta in Italia: il padre Omar è morto. Mina parte così per il paese, dove trova la sorella alla gestione del Tangerinn, il bar del padre che, negli anni in cui Mina era a Londra, Aisha ha preso in carico e rinnovato. Nel paesello Mina ritrova anche la madre, Berta, che ha accentuato il proprio squilibrio mentale, l'egoismo, il disinteresse per le figlie. (...)