Inizio con il dire che sono sempre molto scettico quando leggo il nome di Irvine Welsh sulla quarta di copertina di un libro, così come sono scettico di chi lo ama troppo e degli scrittori (solitamente molto più numerosi delle scrittrici) che scrivono di certi particolari gruppi sociali o sottoculturali o giovanili – gli ultras o gli skinhead in questo caso. Poi non mi do tregua, perché se sono così scettico mi metto a cercare su internet la faccia di questi scrittori qui, per confermare i miei pregiudizi, e allora ci trovo sempre facce troppo convinte di loro stessi, del loro personaggio, o personaggi teatrali e vestiti troppo giovanilmente, e allora le cose peggiorano irrimediabilmente e il libro viene bocciato senza appello. Poteva andare così, con Il segreto di Amador di Kiko Amat, e invece eccomi qui a scriverne bene. Visto che ho parlato dei pregiudizi negativi, faccio spazio anche per quelli in un certo senso positivi: in Spagna esce per Anagrama, di cui di solito mi fido a occhi chiusi per l’eleganza della grafica oltre che per il catalogo. E poi, oltre a Irvine Welsh, c’è nella quarta un nome che invece non viene citato quasi mai, ed è il nome di un maestro tra i più sottovalutati della letteratura del Novecento: Anthony Burgess. Quindi questo Kiko Amat mi sono convinto ad aprirlo, e le pagine sono andate veloci come una partita allo stadio, appunto. Amat è bravo a fare una cosa molto difficile: descrivere bene la violenza, senza goderne troppo ma mettendoti comunque lo stomaco in subbuglio per lo schifo. Non solo Burgess lo sapeva fare, ma anche Bolaño, per citare un altro autore Anagrama, e Littell. La violenza che Amador, Cid e altri compagni mettono in pratica è quasi distopica, ti fa venire voglia di skippare le pagine, però ci rimani perché è messa in scena come in un “play-by-play”. Minuziosamente, gesto per gesto, colpo su colpo. Poi la lingua di Amat ci passa sopra ad addolcire il tutto con giustapposizioni dolci ed eleganti, come quando una rissa a pugni e calci viene interrotta da: «I suoi bulbi ti hanno ricordato quelli di un capriolo che era stato ferito dal tuo vecchio una volta che ti aveva portato a caccia con lui. Erano color miele, liquidi, la superficie della retina tremava come acqua smossa quando il tuo vecchio si era inginocchiato per finirlo con il coltello». C’è altro? Sì: neonazismo, omosessualità, una Barcellona periferica e cattiva finalmente raccontata fuori dalla lente deformata della gentrificazione che l’ha stravolta negli ultimi anni.