Lei proviene dal mondo accademico della linguistica. Da dove viene l’esigenza di questo romanzo, anticipata da quanto ho letto da approfonditi studi sulla Tunisia degli anni ’30?
È vero, insegno Linguistica all’Università di Tunisi e il mio ambito di studi non è molto vicino al campo letterario, ma arrivata a questo punto della mia vita ho sentito il bisogno di mettermi a raccontare storie, qualcosa che costituisce l’essenza stessa dell’essere umano.
Ho sentito questo bisogno dopo la Rivoluzione tunisina perché pensavo di avere molto da dire.
I documenti, i saggi accademici, la ricerca scientifica che stavo portando avanti non mi permettevano di rispondere alle domande che avevo in testa. Ho cercato di rispondere a queste domande con la scrittura del mio romanzo.
Sono domande che hanno a che fare con la nostra identità di tunisini. La Rivoluzione ci ha messi faccia a faccia con le nostre contraddizioni. Abbiamo dovuto interrogarci su chi siamo veramente. Chi è questo popolo, solitamente pacifico, che scopre una rabbia sconosciuta e decide di andare in guerra? Mi sono ritrovata sorpresa nello scoprire un lato della Tunisia che non conoscevo. Ragionavo sull’identità del mio popolo e mi sono ritrovata a scrivere un romanzo: è così che è nato La casa dei notabili.
Il nucleo del racconto è la storia d’amore immaginaria tra una donna della nobiltà tunisina e un personaggio storico molto importante per il nostro paese: Taher Al-Haddad (in arabo الطاهر الحداد; 1899-1935, n.d.r.).
In Tunisia Al-Haddad è un’icona, è a lui che dobbiamo la teorizzazione dell’emancipazione della donna tunisina, ripresa poi dal primo Presidente della Repubblica e sancita nella nostra Costituzione. Se mi chiedi la ragione di questa scelta ti rispondo molto semplicemente che la storia d’amore è solo un pretesto per parlare della storia della Tunisia degli ultimi cento anni, partendo dagli anni Trenta ma risalendo, indietro, alla generazione dei nati alla fine del diciannovesimo secolo. Ho cercato di rintracciare una continuità nello spirito del mio Paese come se fosse una ricerca interiore personale. È stato come guardarsi allo specchio e dirsi: “Ecco, questo è ciò che siamo”. Credo di aver capito meglio come funziona questo popolo, come ragiona, come ha plasmato la propria Storia; forse tutto questo può darci un’idea di come si evolveranno le cose in futuro. (...)