Nel 2016 viene assegnata a Mabanckou, prima volta nella storia per uno scrittore puro, la cattedra di Creazione Artistica al Collège de France e questa occasione diviene il pretesto, o per meglio dire il contesto, da cui parte tutta la riflessione che porta avanti nelle pagine di Otto lezioni. Perché egli è sì uno scrittore, ma prima di tutto un autore africano francofono con un’autocoscienza fortissima, che ha a cuore la storia letteraria e politica del continente nero più della sua poetica personale.
Così, facendo appello alle proprie origini, Mabanckou mette in campo una commovente e spietata rappresentazione dei rapporti di potere, linguistici e spaziali, nascosti dietro la nascita e lo sviluppo della letteratura africana. Un’Africa capace finalmente di strapparsi dai pregiudizi che l’hanno costretta al silenzio per secoli, e in grado di parlare con una voce unica, altra, attraverso autori e opere magnificamente richiamate nelle 175 pagine del libro. Egli sposta il centro di gravità della lingua francese dal Collège de France a quei territori un tempo stereotipati, oscurati – le terre della colonizzazione. Disloca fuori dalla Francia, per così dire, il centro dell’attenzione critica sulla langue.
Centrale nelle pagine di Otto lezioni è quindi la questione identitaria e la possibilità di costruire un dialogo tra le opere nere di lingua francese e la narrativa d’Oltralpe. In qualche modo il gesto di Mabanckou somiglia in queste lectiones a quello di un agrimensore della lingua, sorta di geografo capace di segnare punti d’inizio, limiti e approdi nella metamorfosi estetica delle scritture africane. Moltissime sono le opere richiamate in una sorta di tour de force di riappropriazione e riabilitazione del linguaggio francofono africano, in una continua apertura di orizzonti: come Batouala di René Maran, premio Goncourt 1921, oppure Lo sciopero dei mendicanti (1979)di Aminata Sow Fall, per citarne un paio. (...)