(...) Qualcosa di simile ha fatto il congolese Alain Mabanckou. Chiamato nel 2016 a tenere un ciclo di otto conferenze presso una delle massime istituzioni culturali d'oltralpe, il Collège de France, usò l'occasione per criticare gli stereotipi cui l'editoria - francese, ma non solo - ha fatto ricorso per illustrare le copertine dei libri di autori africani. Tramonti fiammeggianti, paesaggi con acacia, donne velate e così via. Quella conferenza, la quarta del ciclo, è adesso possibile leggerla insieme alle altre nella traduzione di Lorenzo Alunni (Alain Mabanckou, Otto lezioni sull'Africa, e/o, 192 pagine, 17,10 euro). Il consiglio è di leggerle tutte. Per esempio la seconda, Che cos'è la negritudine, commovente ricostruzione della grande operazione culturale, "il lungo processo", con cui pensatori e scrittori africani si sono riappropriati della propria identità e della propria parola. O la quinta, sul problema di scrivere nella «lingua del colonizzatore». La cosa più bella delle lezioni di Mabanckou non è solo quello che affermano, quanto i continui riferimenti alla straordinaria ricchezza della riflessione collettiva, del dibattito culturale e delle battaglie ideali degli intellettuali africani, di cui sappiamo ben poco, o forse niente.