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Quando la Francia spedì la "sua" Africa al fronte

Autore: Anna Pozzi
Testata: Avvenire
Data: 24 agosto 2023

(...) Un'interessante rilettura di questa vicenda è contenuta anche nel libro Otto lezioni sull'Africa di Alain Mabanckou (Edizioni e/o), uscito nelle scorse settimane. Scrittore e saggista del Congo-Brazzaville, docente di Letteratura francofona a Los Angeles, è stato chiamato a pronunciare un discorso per il Monumento agli eroi dell'Armata nera a Reims. L'opera che rappresenta un ufficiale francese attorniato da quattro soldati africani, ha avuto, pure lei, una storia alquanto travagliata. Inaugurata nel 1924, quasi in contemporanea a Reims e a Bamako, capitale del Mali, avrebbe dovuto celebrare non solo il sacrificio dei tirailleur, ma anche il legame di fratellanza che univa (o avrebbe dovuto farlo) la Francia e le sue colonie. Durante la Seconda guerra mondiale, però, il monumento venne distrutto dai nazisti che, a loro volta, massacrarono circa 2.500 militari africani di quella che chiamavano la «Francia degenerata». Fu ricostruito nella sua forma originale e ricollocato a Reims solo dieci anni fa, in un tempo in cui quell'auspicato legame di fratellanza è sprofondato tra le sabbie della crisi politica del Mali (e di tutto il Sahel) e degli attacchi jhadisti, che hanno portato a un progressivo e traumatico allontanamento tra Parigi e le ex colonie della regione. Eppure, fa notare Mabanckou, «la Grande guerra aveva a suo modo fatto entrare l'Africa in un nuovo destino. Ed è nelle trincee di quel conflitto che ha cominciato a germogliare un'idea concreta, fra uomini venuti da territori diversi, fra uomini neri che s'incontravano per la prima volta e che in seguito avrebbero ispirato un altro combattimento, quello delle indipendenze delle nazioni africane...». «Non siete poveri dalle tasche vuote d'onore - li celebrava il grande cantore delle Negritudine, Léopold Sédar Senghor -. O voi Fucilieri Senegalesi, fratelli neri dalla mano calda sotto il ghiaccio e la morte chi potrà cantarvi se non il fratello d'armi, il vostro fratello di sangue?». Quella storia, tuttavia, è allo stesso tempo «francese e africana - secondo Mabanckou - per la sua complessità, ma anche di più per quanto simbolizza rispetto al presente. Quei combattenti [...] hanno scritto la storia della Francia con il loro sangue, e meritano un posto nella memoria collettiva, posto per il quale pazientano da tanto tempo e per il quale aspettano che ci voltiamo per riconoscere il suo vero volto». Il tempo della pazienza però non è ancora finito se è vero che solo quest'anno, ad esempio, il governo francese ha riconosciuto, dopo una lunga battaglia amministrativa, un contributo economico a una decina dei 37 tirailleur ancora in vita per rientrare in Senegal e ricongiungersi alle loro famiglie. E solo nel 2017, è stato concesso il passaporto a 28 tirailleur rimasti a vivere Oltralpe. Piccoli gesti che non bastano, tuttavia, a risarcire non solo quel "tributo di sangue" ma anche alcune pagine vergognose della storia coloniale negli anni delle due Guerre mondiali, come il massacro di Thiaroye, in Senegal, del dicembre 1944, in cui furono uccisi dai soldati francesi almeno 35 tirailleur che erano rientrati dal fronte e chiedevano di essere pagati. La memoria di questi eventi, insieme alle tante e spesso tragiche vicissitudini coloniali, hanno contribuito a plasmare l'immaginario africano, non senza peraltro manipolazioni o strumentalizzazioni, con riflessi importanti anche sull'oggi. Ecco perché il Monumento di Reims - e oggi soprattutto il film Io sono tuo padre storicamente ben ricostruito - sono segni e simboli, come fa notare Mabanckou «fra il nostro passato e il nostro avvenire, ma soprattutto al cuore del nostro presente».