La libreria del buon romanzo
Autore: Ilaria Caputo
Testata: Flanerì
Data: 11 ottobre 2011
La libreria del buon romanzo, titolo di successo nato dalla penna di Laurence Cossé, scrittrice francese, è omaggio alla letteratura, ma attenzione, non la letteratura in generale, bensì la letteratura di “qualità”, quella che spesso, in nome delle spietate leggi del mercato editoriale, viene tragicamente sacrificata o relegata nel dimenticatoio.
Ed è nel tentativo di difendere e diffondere la buona letteratura che Ivan e Francesca, libraio scapestrato lui, ricca ereditiera lei, oltre che donna di raffinata cultura e di origine italiana,decidono di aprire una libreria all’interno della quale si possano trovare solo romanzi e racconti di qualità. Collaborano nella scelta dei testi da proporre al pubblico dei lettori otto scrittori contemporanei i quali, segretamente contattati da Ivan e Francesca, andranno a costituire un vero e proprio Comitato di lettura, il cui compito sarà quello di redigere e aggiornare una lista di romanzi, francesi e non, che gli appassionati di letteratura potranno trovare sugli scaffali della libreria. Condizione essenziale per la costituzione del Comitato sarà l’anonimato dei suoi membri: ognuno ignorerà l’identità dell’altro al fine di mantenere la privacy e di evitare influenze reciproche nella proposta dei libri da leggere.
La libreria del buon romanzo vede così la luce a Parigi, in pieno centro, e riscuote un successo immediato. Rispecchia il modello della libreria ideale, quella che tutti noi, divoratori di buona letteratura, sogniamo: un ambiente familiare, raccolto e discreto, in cui trascorrere ore a girovagare tra gli scaffali, accarezzando la copertina di un classico che abbiamo già letto decine di volte e perché no, gustandone di nuovo qualche brano approfittando dei comodi divanetti che i proprietari del locale hanno gentilmente messo a disposizione; saggiando le pagine di un libro che avremmo sempre voluto leggere ma che, per un motivo o per un altro, non abbiamo ancora letto; scoprendo autori nuovi e titoli che ci seducono e che non possiamo fare a meno di acquistare.
Purtroppo la contentezza di Ivan e Francesca è destinata a durare poco: la loro libreria suscita invidie e gelosie, soprattutto non è ammissibile che una parte dei prodotti editoriali venga ignorata e tagliata fuori dalle vendite. La piccola libreria deve uniformarsi alle regole, trasformarsi in una di quelle “librerie-supermercato” che oggi, nelle nostre città, occupano da sole centinaia di metri quadrati. Se desidera sopravvivere, La libreria del buon romanzo dovrà cambiare la propria immagine, aprire le porte alla letteratura volgarmente definita “commerciale”, venire meno agli intenti dai quali è nata. Ma Ivan e Francesca sono dei tipi tosti e non mollano… non mollano neanche quando i membri del Comitato di lettura iniziano a subire minacce e attentati. Ecco perché La libreria del buon romanzo è stato presentato dalla critica come un giallo, il che non è del tutto sbagliato ma, a mio parere, si potrebbe parlare di un giallo “soft”, inusuale. I toni restano pacati, le atmosfere che fanno da sfondo ai luoghi del crimine composte, il sapore del reato non si gusta appieno perché ciò che prende il sopravvento è la necessità, il bisogno dell’autrice di questo splendido romanzo, di denunciare una realtà che lei ben conosce e della quale avrà sufficientemente sperimentato gli aspetti negativi.
Nella lettura del libro, non ho mai avuto l’impressione di trovarmi al cospetto di un giallo; ho solo percepito l’intimo sfogo della Cossé e goduto della delicatezza con cui è stata in grado di parlare del suo amore per la letteratura senza eccessi, senza espressioni melodrammatiche.
Insieme a lei ho condiviso la sua idea di “libro”, virtualmente combattuto al suo fianco per la riaffermazione della buona letteratura; ho conosciuto autori di classici di cui ignoravo l’esistenza, ho provato un moto d’orgoglio quando, tra gli scrittori “da non perdere” è stato menzionato il nostro caro Tabucchi; ho apprezzato il suo stile semplice, la fluidità della sua prosa, la dolcezza e la discrezione con cui ha reso la dimensione emotiva dei suoi personaggi e la bravura nel non far comprendere al lettore, sino alle ultime pagine, l’identità del narratore; ho respirato la Francia: la Provenza e Parigi e ho visto nascere, in riva alla Senna, un amore possibile ma travagliato.
Questi sono tutti i motivi per cui ritengo che il libro della Cossé sia un buon libro: tralasciando per un attimo la vicenda e i suoi protagonisti, offre numerosi spunti di riflessione sul mondo dell’editoria e riporta in auge l’idea che la letteratura non si fa per arricchire il conto in banca, ma per condividere la vita che rilascia mediante le sue pagine:
«Noi non vogliamo libri raffazzonati, scritti in fretta e furia […]
Vogliamo libri che al loro autore siano costati molto, libri in cui si siano depositati i suoi anni di lavoro, il suo mal di schiena, i suoi punti morti, qualche volta il suo panico all'idea di perdersi, il suo scoraggiamento, il suo coraggio, la sua angoscia, la sua tenacia, il rischio che si è assunto di sbagliare.
Vogliamo libri splendidi che ci tuffino nello splendore del reale e lì ci tengano avvinti; libri che ci provino come l'amore sia all'opera nel mondo accanto al male e totalmente contro di lui, anche se a volte non si capisce, e che lo sia sempre, tanto quanto il dolore lacererà sempre i nostri cuori. Vogliamo buoni romanzi.
Vogliamo libri che non ignorino niente della tragedia umana, niente delle meraviglie quotidiane, libri che ci facciano tornare l'aria nei polmoni.
E se anche ne uscisse uno ogni dieci anni […] a noi basterebbe. Non vogliamo altro».