(...) Analoga frustata è quella inferta da Alice Bignardi con La buona educazione , un romanzo che si abbatte su chi lo legge come la fitta dolorosa ma istantanea di un crampo tendineo: in poche decine di pagine, Bignardi demolisce la statuaria italica della Madre, dissotterrando l'ascia di guerra che fu di Helga Schneider ma senza l'aggravante del nazismo, trascinandoci in un tribunale che non ammette sconti e traduce alle nostre latitudini le colpe della signora Portnoy denunciate da Roth. Alcune settimane fa, recensendo Baba di Mohamed Maalel, mi soffermavo sul meccanismo narrativo (assai antico) dell'agonia dei padri, con quell'estrema ricerca della verità occulta. Ebbene, nell'esordio letterario di Alice Bignardi abbiamo un identico quadro in versione femminile, con la resa dei conti fra Antonella e Lisa che si svolge al crepuscolo biologico della genitrice, un monolite di rigore e di inflessibilità che non può non trasfigurarsi in metafora di un'Italia arcaica ma incombente, le cui griglie bigotte riemergono incuranti della patina del tempo, a riportare indietro l'orologio di chi siamo. È un'opera di tensioni profonde, di affondi feroci, di lucidità spietate e a tratti inaudite; è un'opera di recriminazioni e acquisite oggettività, scavando fra i reperti archeologici di un'Atlantide matriarcale che ha fatto più danni dell'uragano Katrina. Ma ne consiglio vivamente la lettura, magari corredata da una full immersion fra i plurimi peana destrorsi in lode della sacra madre biologica.