La regina del fantasy francese, in Italia ha venduto mezzo milione di copie. La sua saga, L'Attraversaspecchi , è un fenomeno del Booktok italiano, con 13 milioni di visualizzazioni. Lei, Christelle Dabos, classe 1980, una vita tra Francia e Belgio, grazie alla scrittura ha affrontato la malattia. Adesso che e/o ha portato in libreria il suo nuovo romanzo Qui, solo qui , un viaggio nell'adolescenza, Dabos si racconta a Robinson : «Il fantasy? Un modo per fare pace con sé stessi». Ofelia, la protagonista de "L'Attraversaspecchi", ha appassionato migliaia di lettori che hanno rivisto in lei le proprie fragilità: quanto è importante che la letteratura racconti le eroine imperfette? «Quando ho iniziato a scrivere, Ofelia mi sembrava un riflesso approssimativo di me stessa: goffa, miope, vulnerabile in un ambiente ostile. Ma non se ne cura! C'è forza in questa fragilità. Da allora molti dei miei complessi sono crollati. In fondo, tutte le figure eroiche hanno dei difetti. Spesso è perché c'è una mancanza da colmare, più o meno consapevolmente, che i personaggi si mettono in cammino e le storie prendono forma». Nella saga il mondo è distrutto. Quanto l'ha ispirata il cambiamento climatico? «Sono stata fobica per tutta la mia adolescenza: ero perseguitata dalla fine del mondo. Quasi ogni notte, sognavo una catastrofe diversa: cataclisma nucleare, terza guerra mondiale, invasione extraterrestre (sì), meteorite mortale, maremoto... Una volta, a esplodere è stata la luna. Da allora ho imparato che apocalisse significa rivelazione: potrebbe esserci qualcosa di essenziale da scoprire dietro tutto questo. Ma cosa ?». Nel nuovo romanzo cambia ambientazione, un po' dark academia un po' horror fantastico: quant'è difficile l'adolescenza? «Con Qui, solo qui , volevo affrontare un nuovo universo, una nuova scrittura, ma il comune denominatore con L'Attraversaspecchi sono ancora io. Ho lasciato il college, ma il college non mi ha mai lasciata. L'adolescenza ci espelle dall'infanzia, ci fa subire ogni genere di mutazioni; il rapporto con il corpo, con l'immagine che si dà di sé, agli occhi degli altri assume proporzioni spettacolari. Così ho deciso di tornare nell'arena, per esaminare questo strano meccanismo che viene messo in atto di generazione in generazione». La sua è una storia di riscatto e guarigione. Quanto l'ha cambiata l'esperienza del dolore e come è entrata nella sua scrittura? «C'è stato un prima e un dopo, questo è certo. Un corpo che sviluppa una grave malattia può essere percepito come una trappola, ci si sente traditi, almeno all'inizio. Dopo aver subito un trapianto di faccia, è stato il mio stesso specchio ad andare in frantumi. In una seconda fase, questa esperienza è stata come un grande riflettore proiettato su tutte le paure che stavo cercando di infilare sotto il tappeto. La scrittura mi ha accompagnata durante tutto il processo, permettendomi di fare un passo alla volta. Col nuovo romanzo, sono andata a testa alta». (...)