C’è qualcosa, nei volumi di Fabio Bartolomei, in grado di scatenare nel lettore una strana affezione, nel duplice senso di un’alterazione, in questo caso positiva, dello spirito, ma anche di un sentimento spontaneo e immediato di trasporto verso le storie e i personaggi che, in un modo o nell’altro, si sentono subito vicini. Indipendentemente dal genere di appartenenza, se mai si senta la necessità di volerla etichettare a ogni costo, ciascuna opera riesce a dispiegare delicatezza e ironia mentre solleva riflessioni fondanti sulla natura umana. Nell’ultima uscita, I qui presenti (di cui abbiamo parlato qui), una situazione particolarissima, fortemente surreale, diventa l’occasione per indagare il tema del riscatto e delle potenzialità di ciascun individuo, spesso inespresse o dimenticate nel tourbillon della vita quotidiana. Il contesto di marginalità sociale da cui proviene il protagonista sembrerebbe condannarlo a un rigido determinismo, ma Bartolomei non si accontenta mai della soluzione più semplice (né dal punto di vista narrativo, né da quello del messaggio) e prova, in una sorta di romanzo sperimentale dei nostri giorni, a calare il suo antieroe in una situazione in cui nulla di ciò che l’ha precedentemente ostacolato possa interferire con il suo essere o il suo sentire. Per esplorare maggiormente la natura di questa operazione, abbiamo fatto qualche domanda all’autore.
Parlerei un po’ dei protagonisti, Oscar è infatti un personaggio decisamente anticonvenzionale, caratterizzato non solo dalla contraddizione tra le sue scelte di vita e le ambizioni che continua ad avere, pur pensando di non poterle realizzare, ma anche da uno specifico linguaggio, che è la cifra specifica del romanzo nei capitoli a focalizzazione interna…
Quando costruisco un personaggio una delle prime domande che mi pongo è: che voce ha? Oscar è un ragazzo di estrazione popolare, senza punti di riferimento e con una scolarizzazione traballante, ho quindi scelto per lui un linguaggio povero di vocaboli, trecento, ripromettendomi di renderlo comunque ricco ed espressivo. Trattandosi di un ventenne ho dovuto anche ragionare sull’opportunità di colorire la sua parlata ricorrendo allo slang, ma quale? Dopo alcuni tentativi ho preferito una caratterizzazione capace di mostrare la sua luce interiore: uno slang tutto suo, fatto di parole d’altri tempi, dei tempi di sua nonna per l’esattezza, una sorta di omaggio inconsapevole alla persona che gli era stata più vicina.
Accanto a lui c’è Lisa, che parte apparentemente da presupposti completamente diversi (una famiglia molto benestante, una bella casa, un percorso di studi avviato), ma si rivela a sua volta vittima di molte contraddizioni, e protagonista di un processo di cambiamento. Cosa lo innesca? Verso quale direzione tende?
Lisa è una “schiacciasassi”, un treno in corsa, una ragazza che vive di obiettivi destinati a essere raggiunti senza particolari sforzi, ma è comunque una ventenne e come tale vive di contraddizioni, di sicurezze esibite e fragilità nascoste. Senza fare troppe anticipazioni diciamo che la chiave di volta per lei è rappresentata dalla scomparsa di tutti i suoi punti di riferimento: i genitori (solidi e presenti), l’università (con il suo bagaglio di gratificazioni), gli amici e i mille impegni quotidiani che la tenevano distaccata dalle necessità degli altri e della parte più intima di se stessa. Sintetizzando: l’irreale innesca un duro e imprevedibile faccia a faccia con la realtà.
I due si svegliano una mattina circondati dal bianco, che rappresenta per loro una realtà molto concreta (addirittura, a volte, palpabile), ma che si carica anche di significati metaforici: la pagina bianca è quella su cui si può scrivere una nuova storia, o disegnare un mondo nuovo… Oscar procede un po’ a tentoni, inizialmente, ma alla lunga matura un progetto preciso e non solo: questa opportunità di creazione lo porta a rivalutare se stesso e a immaginarsi non più radicato nel presente, nella contingenza del quotidiano, ma a proiettarsi nel futuro…
Sì, Oscar matura un progetto preciso, ma a modo suo. Mentre Lisa aspetta impazientemente la fine di quella specie di incantesimo che l’ha strappata alla sua vita di sempre, lui comincia a ideare stratagemmi per restare in quel mondo bianco un paio di giorni in più, magari una settimana, un mesetto, così da poter finalmente vivere uno scampolo di quel sogno che nel “vecchio mondo” gli era negato: stare con Lisa alla luce del sole. In quel nuovo mondo dove non c’è nulla di ciò che l’aveva condannato a un’esistenza marginale, Oscar rivaluterà se stesso, o meglio troverà il modo di esprimere le proprie potenzialità di essere umano. (...)