“Sei la fine di un racconto e il principio di quello che viene dopo, l’epilogo dell’uno e il prologo dell’altro. Tocca a te parlare, io ti ho tramesso tutto“. Con le parole di una voce misteriosa comincia Il silenzio del coro di Mohamed Mbougar Sarr, edito da e/o e tradotto da Alberto Bracci Testasecca. E da lì in poi si snoda una vicenda di altre storie che si intrecciano, sovrapponendosi e scontrandosi nella rincorsa cieca delle proprie speranze, mescolando l’amore e la disperazione, l’odio e il desiderio.
L’evento centrale del romanzo è l’arrivo di un gruppo di migranti africani nell’immaginario paesino siciliano di Altino. Uomini provati dalle sofferenze di un viaggio lungo e pericoloso, che fuggono dalla miseria inseguendo il miraggio dell’Europa, terra promessa dove poter raggiungere la serenità o perché no, anche ricchezza. Ognuno porta con sé il proprio carico di sogni o rancori, e nessuno sa cosa troveranno davvero. Soprattutto, non possono immaginare l’incontro con il microcosmo della città, con gli altri uomini e donne che li accoglieranno o rifiuteranno, che li temono, li detestano o li considerano fratelli da aiutare.
Mohamed Sarr sceglie di moltiplicare i punti di vista senza nessun orpello ideologico. È difficile trovare buoni o cattivi, o meglio separare le luci e le ombre di ognuna delle esistenze che prendono parola nel corso di una narrazione che si ingrossa e ogni volta lascia intravedere il carico di passato e l’ansia di futuro che ciascuno ha dentro. (...)