Qual è il legame tra le nostre esperienze digitali e la vita fisica? Come ci incontreremo nei mondi immateriali? Quale impatto avrà il futuro sulle nostre identità? Tutte queste domande sono al centro di un romanzo di Nathan Devers, L'Antimondo (pagine 252, euro 18,50), appena pubblicato da Edizioni E/O, ma sono anche al centro di un ciclo di conferenze sull'intelligenza artificiale che si sta tenendo in questi giorni a Roma, in collaborazione con l'Ambasciata francese presso la Santa Sede, intitolato "L'intelligenza artificiale è un'opportunità o no per l'umanità?". Nathan Devers sarà protagonista dell'incontro di oggi: 26 anni, filosofo, quattro libri, insegna all'università di Bordeaux ed è braccio destro di Bernard-Henri Lévy. L'Antimondo è un racconto del nostro tempo attraverso la lente della tecnologia, ma anche un'indagine che vuole rispondere a una domanda: cosa ne sarebbe del nostro essere e della nostra morale se rimettessimo in discussione la concezione stessa di realtà? Parto dal suo libro: «A differenza di Bill Gates, Elon Musk, Mark Zuckerberg o Steve Jobs, Adrian Sterner non prendeva ispirazione da utopie futuriste ma dalla lettura del libro più vecchio del mondo, la Bibbia». Che rapporto c'è per lei tra tecnologia e religione? Penso che se vogliamo capire questa cosa non dobbiamo prenderla dal punto di vista dell'economia, né dal punto di vista del potere, ma dal punto di vista della conoscenza religiosa e dei legami tra le persone e Dio, e tra le persone nella società. E penso che da questa prospettiva possiamo dire che oggi i social network, la rivoluzione digitale, hanno creato e creano una nuova configurazione dei legami nell'umanità. (...)