(...) Nathan Devers che è filosofo, e che a 26 anni ha già pubblicato quattro libri e tiene testa a Bernard-Henry Lévy per la cui rivista lavora, non può non aver pensato a gente come Leibniz e all'infinità di altri mondi, tutti possibili e anzi con la pretesa di esistere, nel dare vita alla fantasmagorica riproduzione della Terra, ricalcata, shakerata e capovolta fino a diventare "L'Antimondo" (Edizioni e/o, trad. G. G. Allegri). Non a caso è Agostino d'Ippona a scandire la differenza tra città terrene e città celesti. Solo che a ripercorrere questo mondo smaterializzato, tra smania dei selfie, dipendenza dai like e balzo dell'IA, più che antimondo tutto è racconto del tempo e del paesaggio in cui viviamo. Incluso il brivido per gli sconvolgimenti che androidi, plantoidi, cyborg&Co. sono pronti a portare nella società. Devers sceglie la poesia come espressione di un mondo in estinzione, e la lettura, defraudata da serie tv e dall'infinito scrolling dei social. Di questo gorgo fa materia da romanzo, compreso un magnate che per megalomania è sintesi di Zuckerberg e Musk: Adrian Sterner, l'AD di Heaven, il progettista del gioco, che attinge ispirazione non dalla scienza o da utopie futuriste, ma dal Libro più vecchio al mondo: la Bibbia. Poi prende un uomo qualunque, un pianista fallito che conosce alla perfezione Bach ma può permettersi al massimo i saldi di H&M, per di più alle prese con un amore finito, e ne fa il prototipo di chi nulla ha da perdere quaggiù e tutto da guadagnare lassù, nel mondo dove si nasce di nuovo. Ed è in questa controsocietà, nella quale gli avatar raggiungono obiettivi che gli umani non hanno centrato, guadagnando montagne di criptovalute, che si insinua il dubbio: c'è spazio per una morale? Devers non guarda al dilemma tra bene e male, ma alla mediocrità delle macchine. A un mondo perfetto, ma senza amore e ironia. Siglando, per ora, la vendetta della poesia sull'informatica.