Ho letto tutti i recenti romanzi di Roberto Tiraboschi, e mi ero abituata alle sue ricerche storiche accurate, ai suoi personaggi lontani nel tempo ma efficaci, inseriti attraverso una sapiente ricostruzione in un ambiente suggestivo, quella della Venetia delle origini, in cui le trame dei romanzi risaltavano attraverso intrecci sapienti e ricchi di un fascino misterioso. L’armonia dei frutti bacati, appena pubblicato da edizioni E/O, mi ha stupito, direi quasi spiazzato: ho dovuto fare i conti con un presente, quello della Milano prima e durante la pandemia di Covid-19, che mia ha rivelato un autore nuovo ed originale, molto attento alle dinamiche relazionali, affettive, professionali, che attraversano la società attuale.
Dinamiche osservate e descritte attraverso le vicende di tre giovani: due donne, Sabrina e Milena, e un uomo, Guglielmo, che gioca il suo ruolo in mezzo alle due diciamo “amiche”, anche se il legame che le unisce, nel corso del romanzo, apparirà sotto diverse e contraddittorie sfaccettature.
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Chi sono davvero Milena, Sabrina, Guglielmo? Quale la loro vera identità?
È possibile l’amicizia o è solo una falsa illusione? E l’amore, il sesso, l’affettività sono reali o sono solo trappole violente?
Il romanzo è scandito in tre parti, i cui titoli sono altrettante storie piene di poesia e suggestione, e, senza anticipare, è determinante il tema del romanzo nel romanzo, in una sorta di scatola cinese che mette noi lettori dentro l’ambiguità dell’opera letteraria, del ruolo del narratore, dell’inatteso finale.
Davvero una sorpresa, dunque, questo libro che mi ha sorpreso e coinvolto, rivelando un aspetto della sensibilità dell’autore e una capacità di andare a fondo nelle psicologia di personaggi diversi, contraddittori, ammalati di solitudine, incapaci spesso di relazionarsi in modo semplice alla vita, che sembra sfuggire continuamente loro di mano.
La precarietà dei lavori, l’incapacità di costruire esistenze ancorate a legami forti, ci mostrano una generazione sofferente, “bacata”, alla continua ricerca di un “ubi consistam”, che ci racconta un mondo adulto che forse non ha saputo dare certezze e che dovrebbe interrogarsi più profondamente.