Iran. Un paese di cultura che ha sapore antico, di una bellezza essenziale, e che nella sua storia trascina il peso delle contraddizioni, in bilico tra orizzonti spalancati e confini troppo ristretti, tradizione e progresso, democrazia e rivoluzioni. Parisa Reza, con il romanzo Giardini di consolazione, apre una finestra su trent’anni di storia del suo paese, dagli anni Venti agli anni Cinquanta, per raccontare il radicale cambiamento di un periodo di inaspettata modernizzazione attraverso la storia della famiglia Amir. Tutto inizia a Qamsar, quel pezzo perduto di paradiso che profuma di rose, dove Talla e Sardar si innamorano e si sposano quando Talla è ancora bambina. I primi occhi che descrivono l’Iran sono i suoi, anche se in uno sguardo limitato prima dalle montagne – di cui scorge solo un versante, mentre l’altro può esistere solo nello spazio della sua immaginazione – e poi dal chador, il rifugio che la protegge dal mondo. Insieme al marito lascia il villaggio per andare a vivere a Shemiran, nella periferia di Teheran, perché la città è “troppo bella, stravagante, insolita, strana”: una vita ai margini della modernità, dove tutto è nuovo e a tratti spaventoso per loro che sono persone essenziali, analfabeti, instancabili lavoratori ancorati nella fede alla tradizione. Quando il colpo di stato porta lo shah Reza Khan al potere, le nuove imposizioni diventano smarrimento: alle donne viene proibito di indossare il chador, l’istruzione è obbligatoria e gratuita, il potere dei religiosi viene arginato. Il punto di contatto con quel nuovo mondo è Barham, l’unico figlio di Talla e Sardar, che la modernità la respira nell’aria e la legge nei suoi sguardi che conoscono lo slancio e non la paura della vertigine. Da una parte il feudalesimo teocratico, dall’altra la pulsante rivoluzione e tante promesse disattese: arriva la democrazia del primo ministro Mossadeq, ma ha vita breve, e le logiche dei colpi di stato tornano a imporsi. Il libro è un incrocio di sguardi, voci, pensieri, realtà storica e materia letteraria e offre un quadro sincero e a tratti brutale di un paese che è come i giardini di consolazione, anche nella tragedia – che è una storia senza fine e che proibisce il lutto – sa risorgere dalle ceneri. Parisa Reza con una lingua poetica getta luce sul presente donando una lettura più consapevole del passato che si rinnova, perché alla fine: “Ricamiamo ogni giorno la stessa storia con nuovi colori, e questo va avanti da secoli e secoli”.