Intervista all'ex inviato di guerra Valery Panyushkin, che ne "L'ora del lupo", appena pubblicato in Italia, racconta i profughi di entrambi i fronti. "I miei connazionali chiudono gli occhi ma tra due anni, come con l'Afghanistan, capiranno l'inutilità di questo conflitto"
Diventare profugo è un gioco da ragazzi, anche se sei cittadino del Paese aggressore. È l’amara constatazione del giornalista russo Valery Panyushkin, che nel suo ‘L’ora del lupo’, appena pubblicato da Edizioni e/o, accosta le dettagliate testimonianze dei civili ucraini scappati dalle bombe con quelle dei russi fuggiti dalle "menzogne di Vladimir Putin" e ora alle prese con un mondo li guarda ostili.
"So che nessuno in Europa ha il dovere di capire che ci sono russi diversi da quelli che sostengono il Cremlino, ma esistono, ci sono ed è importante non dimenticarli, affinché questa diffidenza nei nostri confronti non si trasformi in un’arma nelle mani della propaganda anti-occidentale", spiega l’ex inviato di guerra e scrittore in un’intervista all’AGI, in occasione della presentazione a Roma del suo ultimo lavoro.
"Non c'è più una testata per cui scrivere"
Nelle 230 pagine del libro, si susseguono l’incredulità delle prime ore del conflitto, lo strazio della perdita e l’angoscia del ricominciare una nuova vita, senza punti di riferimento. Un’esperienza provata dallo stesso Panyushkin, scappato dal suo Paese quando è diventato illegale chiamare la guerra col suo nome. A maggio, il giornalista è emigrato a Riga con tutta la famiglia: "Non si può più lavorare a Mosca". Con l’avvio di quella che il Cremlino chiama ancora “operazione militare speciale”, è stata introdotta la censura militare e i media liberi hanno chiuso uno dopo l’altro. "Non solo non c’è più una testata per cui scrivere", fa notare, "ma raccontare il segreto di Stato numero uno in Russia, che sotto le bombe dell’esercito di Mosca non ci sono le infrastrutture militari ma i civili, comporta una lunga pena detentiva".