Il magnifico scrittore Michel Bussi (Louviers, 1965), professore universitario di Rouen (Normandia) e direttore di ricerca al Cnrs francese, ha pubblicato dal 2006 una quindicina di divertenti corpose avventure, tutte senza protagonisti seriali, ambientate in originali ecosistemi biodiversi, non solo della sua regione, e appartenenti al genere giallo o policier o noir. Ben oltre la metà dei romanzi ormai sono tradotti in italiano: dopo una sporadica apparizione nel 2014, dal 2016 le edizioni e/o alternano la pubblicazione delle novità con la proposizione dei primi romanzi oppure di opere inedite. Au soleil redouté era proprio atteso; il titolo francese connesso sia alla chiusa isolata pensione d’ambientazione (dove tutti i clienti sono invitati a scrivere con un gessetto i propri desideri alla lavagna, come nel secondo esercizio) che al concreto timore del caldissimo sole equatoriale; il titolo italiano ai dattiloscritti dei cinque romanzi raccolti dallo scrittore (prima di scomparire) con la promessa di correggerli e divenuti poi con sofisticata maestria una delle opere effettivamente pubblicate dall’editrice (insieme ad altre due tuttavia, scoprirete quali e perché). La narrazione al presente è così prevalentemente in prima persona: cinque testimonianze, con i cinque diversi punti di vista su quanto sta accadendo, inframezzate dal diario in prima di Maïma e dalle azioni in terza di Yann, tutti e sette i principali protagonisti in scena fin dall’inizio (accanto a pochi significativi altri personaggi), un godibile scientifico ingranaggio “alla” aggiornata Agatha Christie (più volte citata). Bussi può non piacere (lo capisco), a me piace (come a milioni di lettori nel suo paese): sorprende (sempre meno e comunque non troppo, se avete letto altro di suo), intrattiene con ironia (e autoironia questa volta), manipola le regole del giallo (rispettandole ai giorni nostri), cura ciò di cui parla (argomenti e luoghi). Segnalo il nesso del metaforico doppio isolamento isola-carcere, a pag. 139, 185, 208. Ovviamente, in ogni angolo di quelle isole e di questa storia risaltano schizzi e note biografici di Paul Gauguin (transitato spesso in Polinesia, lì trasferitosi cinquantatreenne dal 1901 alla morte nel 1903) e Jacques Brel (lì vissuto per molti anni e sepolto accanto al pittore, dopo la morte nel 1978). Birra e rum, vino d’ananas, Piña Colada. Da visitare anche per mana e tiki, tatuaggi e perle, forse.