Parla la giornalista e scrittrice che pubblica «Sole amaro» per e/o. Trent’anni di storia francese letti attraverso lo sguardo delle figlie dell’emigrazione maghrebina. «Negli anni ’60 nelle cités le algerine si confrontavano con altre donne e i percorsi di emancipazione si nutrivano del confronto tra culture. Finito quel mix, la tendenza si è invertita».
Negli occhi di Naja sono rimasti il timore e la meraviglia per il vento che, ad un certo punto del pomeriggio, soffiava la sabbia a ricoprire tutto, case, uomini e animali intorno ai resti della città romana di Djémila, ai piedi delle montagne dell’Aurès, nella provincia algerina di Sétif. Le ci vorrà del tempo per scrutare con un’altra espressione il cielo dalle finestre del palazzo popolare della banlieue di Parigi dove ha raggiunto il marito Said, selezionato dai reclutatori della Renault per le officine di Boulogne-Billancourt direttamente nel suo villaggio cinque anni prima.
Con lei ci sono anche le tre figlie, Maryam, Sonia e Nour che in Francia diventeranno grandi e si misureranno a un tempo con le sfide, le promesse e le contraddizioni di una società in rapida evoluzione e con gli effetti che tutto ciò produrrà in seno alla propria famiglia, non sempre in grado di lasciare che le giovani colgano fino in fondo le opportunità che, almeno in apparenza, sono offerte loro. Malgrado sia intorno alla nascita di due maschietti, due gemelli divisi dalle necessità e ricongiunti dalla vita, che si compie l’esito della vicenda raccontata da Lilia Hassaine in Sole amaro (e/o, pp. 135, euro 17, traduzione di Alberto Bracci Testasecca), al centro del romanzo della scrittrice e giornalista nata a Corbeil-Essonnes nel 1991 in una famiglia di origine algerina, ci sono trent’anni di storia francese letti attraverso lo sguardo delle figlie dell’emigrazione maghrebina cresciute, e spesso anche nate, nelle banlieue del Paese.
Dalla provincia di Sétif, in Algeria, ai casermoni popolari della banlieue di Parigi: lo scenario che fa da sfondo alle traiettorie personali dei protagonisti di «Sole amaro» racconta due mondi e il modo in cui si sono incontrati, scontrati e, a volte, anche amati. Come è nato il romanzo?
Prima di tutto c’è una storia vera. Mia madre è di Sétif, e il punto di partenza della vicenda è ispirato a fatti reali, ad un segreto di famiglia che lei mi ha rivelato ad un certo punto. Più in generale, volevo raccontare una parte della storia di Francia che ai più è poco nota, per non dire del tutto sconosciuta: quella dell’immigrazione algerina verso questo Paese, con tutto il suo portato di speranze e di delusioni. Volevo parlare dello sradicamento, dell’utopia incarnata dai palazzoni costruiti nelle banlieue negli anni Sessanta e Settanta, analizzare questo periodo centrale nelle vicende francesi, una fase spesso felice, ma anche il modo in cui ad un certo punto le cose hanno cominciato a non funzionare più.
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