«Da piccola mia madre mi raccontava una storia. Quella di un paradiso perduto al margine dell’oceano, stritolato un giorno dalle fauci di un mostro. So bene che nessun libro ha il potere di rovesciare il mondo, ma forse riuscirò, attraverso la scrittura, a far sì che la mia collera diventi anche un po’ la vostra». Queste poche righe fanno parte della postfazione che Caroline Laurent, scrittrice franco-mauriziana e professoressa associata di Letteratura moderna alla Sorbona, ha scritto al suo secondo romanzo, Le rive della collera (edizioni e/o, pagine 346, euro 20,00), appena uscito in Italia e dedicato a tutti i chagossiani in esilio.
Un libro scritto con un profondo approccio letterario, ma anche come testimonianza mascherata di alcuni fatti reali. È stato molto premiato in Francia e si ispira ai fatti relativi alla dominazione britannica nelle isole Chagos, un arcipelago annesso a Mauritius (di cui è appunto originaria la famiglia dell’autrice). Dopo 158 anni di dominazione le isole diventano indipendenti, ma gli abitanti di Diego Garcia, isola dell’arcipelago delle Chagos, vengono deportati a causa degli interessi americani, che ne fanno una base militare. Un fatto che nel 2019 è stato definito davanti alla Corte di giustizia internazionale, con una condanna a stabilire che la separazione delle Chagos da Mauritius fu illegale. Il tutto è stato ribadito anche nel 2021 dal tribunale internazionale del diritto del mare e a marzo 2022 per la prima volta, una piccola delegazione di chagossiani, è tornata a casa.
Il libro è ispirato a fatti realmente accaduti, perché ha scelto di scrivere questa storia?
«Mia madre, mauriziana, è vissuta a Diego Garcia all’inizio degli anni Sessanta. In quel momento l’isola sembrava un paradiso. La vita era umile, semplice e tranquilla. Quando tutto è cambiato, quando il paradiso è diventato un inferno, quando la popolazione chagossiana fu deportata brutalmente negli anni Settanta dai britannici per motivi politici e strategici, mia madre ha provato indignazione e rabbia. È questa rabbia che lei è riuscita a trasmettermi tanti anni dopo. Una rabbia giusta, che mi chiedeva di far sapere una storia tragica che nessuno conosceva in Europa».
Questo libro parla della lotta per riappropriarsi di un mondo, anche se è cambiato. Si può dire che parli anche di speranza e coraggio?
«Il mio libro è una storia di coraggio, di speranza, di ricerca di giustizia e ostinazione umana. Ho pensato al mito di Sisifo: ogni giorno, rotolare la roccia fino alla cima della montagna; ogni giorno, guardare la roccia che viene giù; ogni giorno, ricominciare tutto. È una cosa terribile e profonda, ricominciare. Secondo me, è la metafora perfetta dell’esistenza».
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