Protagonista assoluta è Mila Zago, l’eroina ferita e vindice, predatore implacabile, dreadlock rossi, occhi verdi, arti marziali. Lo sfondo è il Nordest globalizzato e perbenista, violento e corrotto, i suoi schiavi invisibili, le lotte di potere tra gruppi di potere: i grassi imprenditori che camuffano i traffici sporchi e la temibile gang dei Pugnali Parlanti.
Si parla molto di Massimo Carlotto, come tua guida. Ci sono altri autori italiani ai quali ti senti affine e da cui ti senti influenzato?
A parte Massimo Carlotto, gli autori italiani che mi hanno influenzato sono Rodari, Salgari, Verga, Rigoni Stern, Calvino, Gozzano, Altieri, Bergonzoni. Di alcuni registi ho mandato a memoria film che hanno avuto una parte importante nel placare la mia sete di fantasia: Leone, Soavi, Corbucci, Fulci, Castellari, Lenzi. Spaghetti-western e poliziottesco sono generi che mi bevo quotidianamente.
Mi anticipi: volevo dirti che mi pare ci sia un bel po’ di western all’italiana nel tuo sugarpulp? A proposito, ci spieghi meglio i connotati stilistici dello sugarpulp?
Western all’italiana ce n’è. Ho ideato Sugarpulp, un movimento letterario che tenta di innestare storie pulp-noir, veloci, dal ritmo adrenalinico, fondate sul binomio dialogo-azione, nel Veneto più retrivo e violento. Sugar sta per zucchero di barbabietola, prodotto tipico di questa zona. Terra epica, il Veneto, uno state of mind dall’iconografia fatta di sagre, ippodromi e casinò, piccoli paesi sperduti nella provincia e Sant’Antonio da Padova, barbabietole e strade mitiche come la Romea. L’intento è celebrare il Veneto e raccontarlo nei vizi e nelle virtù. Senza sconti o trucchi: è il conflitto, la disarmonia d’opposti che regala tensione e bellezza a una storia. Numi tutelari del movimento sono Carlotto, Joe R. Lansdale, Victor Gischler, Tim Willocks.
Ti chiedevo di autori “italiani”, perché le parentele americane sono visibili: la violenza di McCarthy, il pulp-noir di Gischler, il cinema di Tarantino…
Sì, aggiungerei Don Winslow e T. Jefferson Parker per Stars & Bars, nella Union Jack metto Tim Willocks e David Peace, per la Scozia almeno Allan Guthrie e Irvine Welsh. Riguardo al cinema, n. 1: Sam Peckinpah. E il n. 2: Robert Rodriguez. un nuovo regista che adoro: Zakk Snyder.
Da dove nasce l’idea di Mila, che prende un po’ alla Beatrix/Thurman di Tarantino, un po’ dalla Lisbeth Salander di Stieg Larsson e magari anche alla Gloria di Cassavettes?
Volevo un personaggio in grado di rompere le geometrie narrative. Non mi è mai capitato di leggere nei romanzi italiani di una donna destabilizzante, capace di condurre il gioco in modo non solo mentale ma anche fisico. Non volevo una dark lady, una poliziotta. Non volevo rassicurare: Mila è un personaggio estremo, è qui per urlare, non ne potevo più di figure femminili relegate a comprimarie, basta Rosencrantz e Guilderstern, volevo Crimilde, Vendetta, sangue e tormento. Se ci fai caso tutti gli esempi che hai citato sono personaggi creati da autori stranieri. Sentivo, come lettore, che nella narrativa italiana c’era una lacuna.
Parliamo di SABOT/AGE, la nuova collana che e/o inaugura con il tuo libro. Qual è la sua cifra?
La collezione Sabot/Age è diretta da Colomba Rossi e curata da Massimo Carlotto. Insieme a La ballata di Mila è uscito lo splendido noir di Carlo Mazza Lupi di fronte al mare sugli intrecci sporchi fra sanità e corruzione nel barese. La cifra è raccontare la realtà marcia di questo Paese, il non detto non frequentato dalla cronaca. Non c’è velleità di scrivere inchieste travestite da storie, non è nostro compito. Gli autori scriveranno romanzi con un’attenzione nel mettere a nudo le nuove forme di criminalità, i lacci fra politica e corruzione, fra caste e lobby di potere. Questo non è più prerogativa solo del noir: anche pulp, commedia, horror, post-apocalittico devono fare la loro parte. Come gli operai che, ai tempi della rivoluzione industriale, lanciavano il sabot - lo zoccolo di legno - negli ingranaggi delle macchine per bloccare la produzione.
Hai pubblicato, prima di Mila, due volumi di critica musicale su Bubola e Priviero. Come ti disponi alla scrittura di lavori così diversi? Uno non esclude l’altro. Scrivere romanzi e saggi mi pare una gran bella soluzione. Sono vero in entrambi i casi: se devo parlare “di” e “con” qualcuno, sono inevitabilmente più controllato; se posso inventare una storia allora schiaccio l’acceleratore a tavoletta.