Una preghiera, di quelle sussurrate a mani giunte sotto il mento, che ha inizio nel titolo e continua come un lungo sospiro: è I tuoi figli ovunque dispersi, di Beata Umubyeyi Mairesse, autrice franco-ruandese cresciuta a Butare e miracolosamente scampata nel '94 al genocidio dei tutsi che ha devastato il suo paese, lasciandolo in frantumi. E' da questi lembi lacerati che l'autrice tesse la narrazione per mettere ordine, come creare una cesura tra lo ieri e il domani con una virgola. Il libro è una polifonia a tre voci attraverso tre generazioni che si guardano, si interrogano, si raccontano: Immaculata, madre e nonna, Blanche, figlia e madre a sua volta, Stokely, figlio e nipote. Al centro del racconto, Blanche, che nel '97 torna in Ruanda dopo i massacri: "Mi sento come una figlia dispersa che torna dove è cominciato tutto, lo spezzettamento, l'amore infangato dai segreti, la famiglia a brandelli " e soprattutto, una domanda fondamentale: "Cos'era cambiato nel paese? Io. Lo sguardo amaro e nostalgico che posavo su ogni cosa. Ciò che era stato lacerato". Una ricostruzione della trama famigliare lungo il rammendo di un dialogo intimo, tra sguardi e punti di vista differenti di madri e figli: la nonna Immaculata che si è salvata dal genocidio nascondendosi per cento giorni in una cantina, il figlio Bosco, fratello di Blanche, partito per combattere al fronte e tornato con le peggiori ferite che si possano subire - quelle della mente e dell'anima -, meno evidenti ma più difficili da rimarginare e Blanche, che si domanda dove fosse lei nel frattempo, mentre la sua vita continuava al sicuro in Francia e la sua famiglia diventava un insieme di corpi da cercare, piangere e seppellire. "I figli ti mantengono in vita", dice Immaculata, e figli e figlie lo sono tutti in questo libro, ma l'arte della resistenza che di mostrano e insegnano, invece, le madri diventa pura bellezza. Il romanzo apre alla riflessione sul senso di colpa di chi è fuggito all'orrore senza averlo visto con i propri occhi, sulla compartecipazione a un dolore vissuto dalla pelle degli altri, sul richiamo delle proprie radici e della lingua madre, sulla memoria e la ricerca di riconciliazione, sul diritto di vivere e di morire e sulla speranza che apre a nuovi orizzonti. Un libro che è un inno alla salvezza, che ha forme e tempi inattesi e porta il profumo dei fiori di Jacaranda, un'intima invocazione a ricongiungere quei figli ovunque, nella storia e nel mondo, dispersi.