«Ho letto Il Piccolo Principe per la prima volta verso i sette anni. Anzi, l'ho ascoltato: c'era un disco in francese in cui veniva declamato da un attore, Gérard Philipe». Parla in connessione video Michel Bussi, 57 anni, dalla sua casa nella periferia operaia di Rouen, in Normandia (la stessa di sempre: nonostante il successo incredibile in tutto il mondo, il giallista francese non si è montato la testa). Parla della passione di una vita, quella per il racconto di Antoine de Saint-Exupéry. «L'ho letto a più riprese e nell'adolescenza mi ha segnato in maniera particolare. Poi ho messo riferimenti a Il piccolo principe , più o meno camuffati, in tanti dei miei libri. E così lo consultavo sempre». Finché ha deciso di dedicarvi proprio uno dei suoi romanzi, Codice 612. Chi ha ucciso il Piccolo Principe?, in uscita in Italia per e/o. Anche stavolta, comunque, è un giallo, ovviamente. Sì, una doppia inchiesta, che cerca di fornire una risposta a queste domande: chi ha ucciso il piccolo principe? E chi ha ucciso Saint-Exupéry? Intanto, come sempre nei libri di Bussi, si viaggia, stavolta da New York all'Arabia Saudita, passando per le Bermuda e la Scozia. Perché lo scrittore, diventato famoso a quarant'anni e passa, nella sua vita precedente è stato docente di geografia all'Università di Rouen. In aspettativa solo dal 2016, ma quell'altra grande passione non la dimentica mai... Grazie a Codice 612. Chi ha ucciso il Piccolo Principe?, si scoprono molte cose su Saint-Exupéry. È tutto vero? «Assolutamente. Il libro è il frutto di una ventina d'anni di ricerche, anche se nel frattempo ho pubblicato tanti altri romanzi...». Quando Saint-Exupéry scrisse il racconto? «Durante la Seconda guerra mondiale. Dopo l'occupazione tedesca della Francia, era partito per New York. Negli Usa era già uno scrittore di successo. Voleva convincere gli americani a entrare in guerra, ma non ci riuscì.E così si sentiva perso e inutile, lui che era un aviatore: per niente a suo agio fra gli espatriati francesi che vivevano lì. Poi, c'erano il legame turbolento con la moglie Consuelo e le molteplici amanti». Alla fine del libro lei dà la sua versione dei fatti, che non riveleremo. Ma prima passa in rassegna diverse opzioni che ci sono sulla fine di Saint-Exupéry. Quella per cui il suo aereo sia stato sabotato, perché lo scrittore aveva dei nemici. O il suicidio. Oppure una scomparsa volontaria. Quale la verità? «È un enigma, che permane ancora oggi. Nell'aprile 1943, poco prima della pubblicazione a New York di Il Piccolo Principe, lo scrittore si spostò nel Nordafrica e riprese servizio come pilota per gli Alleati. Durante quello che doveva essere il suo ultimo volo (era ormai troppo vecchio) scomparve nelle acque del Mediterraneo, il 31 luglio 1944. La versione ufficiale è che sia caduto in mare con il proprio aereo. Sono stati ritrovati resti del velivolo dinanzi a Marsiglia, ma mai il suo corpo. C'è la possibilità del suicidio, ma era un soldato: tanti dicono che non l'avrebbe mai fatto durante una missione, distruggendo un aereo. O forse ha avuto il tempo di lanciarsi fuori, di salvarsi e di scomparire. C'è pure chi prende in considerazione il fatto che lui era molto arrabbiato con i gollisti e rappresentava un personaggio scomodo». Nel suo libro ricorda la lettera di Antoine arrivata alla mamma addirittura un anno dopo la sua scomparsa. Una storia inquietante... «Siamo tra il 1944 e il '45 e le Poste avevano in effetti qualche problema. Ma resta una lettera post-mortem e così la leggiamo come se arrivasse dall'aldilà. Lui in genere nelle epistole alla madre forniva molti dettagli sulla propria vita e su quello che stava facendo, ma non quella volta. È più breve delle altre e le parole utilizzate sono come se fosse sempre vivo e volesse rassicurarla». (...)