La fotografia in bianco e nero di una delle tante periferie metropolitane, dimenticate e abbandonate a sé stesse. In questa Babele si confondono i volti e i nomi, si mescolano tradizioni e sapori. Ci si sente soli, esclusi dalla corsa frenata verso il futuro. “Amici e ombre”, pubblicato da edizioni e/o nella Collana Dal Mondo e tradotto dall’inglese da Leonardo Gandi, profila un contesto sociale che sfugge ai nostri occhi distratti. Senza pietismo e con una tagliente lucidità ci porta nei sobborghi di Sidney tra afrori di corpi, speranze represse, contaminazioni culturali. La voce narrante diventa portavoce di un disagio sociale. Nel descrivere la casa che divide con altri giovani estrapola un pezzo di mondo dove etnie diverse provano a convivere. Racconta la quotidianità, la precarietà del lavoro, i vicoli, le piccole botteghe che resistono al nuovo che avanza. Lo fa con pacatezza e senza rabbia, con la ferma determinazione di farci esplorare il suo universo. Il romanzo è suddiviso in capitoli che rappresentano le stagioni e in questa scelta temporale c’è l’urgenza di ammansire il tempo, collocarlo nella sfera della realtà. Immagino sia una strategia intima più che letteraria. Celebrare il passaggio dei giorni, trasformare l’esperienza di tanti in una narrazione che non si lascia imprigionare dai sentimentalismi. Viene restituito lo spaccato di una generazione che gravita su due sponde: quella del paese d’origine e quella della terra che li accoglie. Diverse le sensibilità filtrate dalle orme dei genitori che con più difficoltà si sono adattati. Si avverte un percorso che cerca di unire culture differenti: complesso, doloroso, ostacolato da infiniti pregiudizi. La prima lettura coglie questa discrepanza identitaria ma se vogliamo andare oltre l’anali comprende una più larga fetta di popolazione giovanile. Il corpo e la sua invadente presenza, la fragilità dei rapporti di coppia, l’appiattimento di un presente incerto, il rapporto con le paure profonde: l’esordio narrativo di Kavita Bedford è un reportage dell’anima. Bravissima nel cambiare, pagina dopo pagina, registri narrativi, sa passare da una struttura descrittiva a una prosa molto lirica. A fare da filo conduttore la perdita del padre. Un’assenza che gela e commuove. La rielaborazione del ricordo, la necessaria rivisitazione del lutto. (...)