Carlo Piano la Sardegna l'ha conosciuta dalle coste, viste a bordo della barca a vela, passione del papà Renzo star mondiale degli architetti. Il giornalista genovese ora torna nell'isola in occasione del Lei festival di Cagliari, oggi alle 18 al teatro Doglio, e domani alla fondazione Banco di Sardegna a Sassari (17:30). Gli spunti partono da due suoi libri. Il romanzo "il cantiere di Berto" sulla ricostruzione del Ponte di Genova e il biografico "Atlantide". Spunti per liberare l'entusiasmo con cui Carlo si diverte a parlare di architettura, qualcosa di ereditato e assorbito pienamente.
La frase più ricorrente, sembra il suo slogan personale, è «la magia del ricostruire». Dietro "Atlantide" c'è la storia di un viaggio?
«Sì, un viaggio con mio padre nei luoghi che ha costruito. Abbiamo viaggiato via mare su una nave oceanografica della Marina e quando navighi ti trovi in una situazione di sospensione, talvolta si confessano cose che altrimenti non si direbbe. Così è stato con mio padre, con i suoi dubbi, i suoi pentimenti, i cassetti segreti. Atlantide è la città perfetta e irraggiungibile, proprio quella a cui l'architetto ambisce tutta la vita »
Costruire talvolta significa ricostruire. La tragedia del Ponte Morandi e la nascita del nuovo ponte San Giorgio, a Genova, fanno parte di una vicenda molto italiana?
«Lo ricordo come un cantiere sospeso tra cordoglio e orgoglio. Demolitori e costruttori lavoravano insieme. Una vicenda che parla della sciatteria tutta italiana, di quando si tagliano i nastri e poi ci si dimentica la manutenzione. Ma ha dimostrato anche che quando ci si mette tutti insieme, le cose si fanno. È una dicotomia tutta italiana, basti vedere per ultimo il caso di Ischia... in nessun caso si può parlare di fatalità. Il ponte San Giorgio, comunque, è un ponte genovese: parsimonioso, sfrutta l'energia del sole, l'acqua della rugiada, non invade il territorio. Il Morandi rispecchiava invece il boom economico, il desiderio di meraviglia».