Se in un delirio di onnipotenza avessimo mai pensato che i problemi della vita da millennial fossero circoscritti alla piccola Europa, o in uno slancio di globalizzazione ampliati almeno agli Stati Uniti, questo è il romanzo giusto per correggere il tiro. Kavita Bedford, scrittrice e giornalista australiana, esordisce nella letteratura con “Amici e ombre“, edito da E/O e tradotto da Leonardo Gandi, la vicenda di una protagonista senza nome, trentenne precaria nella gentrificata Redfern, sobborgo di Sydney.
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Il Guardian ha definito quella di “Amici e ombre” una “Millennial city life”, propria delle grandi città anglosassoni, ma estendibile, per certi versi, anche alle crisi esistenziali dei millennial italiani ed europei. «Impermanency is built into their lives» scrivono altrove, e chiudendo un occhio, anzi due, sembra parlino anche di me e della periferia barese in cui esisto. Di peculiare c’è, però, c’è il lavoro di Bedford nel ritrarre l’immigrazione nella grande città australiana, i controsensi del governo, le battaglie, il degrado e il trauma di nati in Australia, ma con tutto da dimostrare ancora, anche quando il privilegio e le possibilità economiche allontanano dal sopracitato degrado. E se le ombre del titolo potrebbero identificarsi con l’ombra opprimente del futuro mancato che hanno sulle spalle, l’anonimato della protagonista non è un buco narrativo, né la rende un’ombra in sé, ma si trasforma in una chiave di lettura personale e universale allo stesso tempo.
I sobborghi di Sydney raccontati da Kavita Bedford sono vari, umani, multirazziali e complicati, dove per complicati si intende un misto di disastro umanitario (come le restrittive politiche immigratorie del governo australiano) e luci di speranza (come quelle delle sfilate del gay pride, della creatività imprenditoriale, di un tentativo di senso di appartenenza). E la sintesi perfetta è nella copertina dell’edizione italiana del romanzo, con uno spaccato di vita sugli scogli del fotografo Andrew Quilty, che ritrae individui che potrebbero essere felici, ma anche sull’orlo del baratro, in un eterno altalenare. Come le nostre vite adesso.