L’ultimo Rapporto dell’IPCC smentisce con dati e analisi le tesi di chi nega o minimizza la crisi climatica e ambientale. Pubblichiamo un capitolo dal volume “I tempi stanno cambiando. Clima, scienza, politica” di Gianfranco Bettin (Edizioni E/O).
l Rapporto ipcc è tutt’altro che un testo estremista. Lo si vede anche nel confronto con altri studi contemporanei sul tema, come The Dasgupta Review o quello di “Nature”, che certo, a loro volta, non lo sono, ma hanno meno vincoli politico-diplomatici nell’affrontare e descrivere i nodi cruciali della crisi climatica e ambientale.
L’ipcc è da sempre molto attento a non farsi etichettare come “catastrofista”. La stessa scelta di ricorrere sistematicamente, nel testo, al concetto – abbastanza discutibile e sui generis – di temperatura media globale,seconsente di avere un indicatore generale della tendenza in atto, distoglie l’attenzione dai picchi climatici già raggiunti in certe parti del pianeta, con rialzi delle temperature anche doppi o tripli rispetto alla media globale.
Nel Mediterraneo, ad esempio, la temperatura è salita di 2,5° C rispetto all’era preindustriale, più del doppio della media globale di 1,2° C. Questi “picchi” regionali, a loro volta, innescano processi più profondi e violenti, sia dal punto di vista ambientale che socioeconomico. Se, infatti, la concentrazione di CO2 è omogenea in tutto il pianeta, il modo in cui interagisce con le diverse situazioni regionali (sia ambientali che socioeconomiche) crea differenze a volte enormi, non solo sulla temperatura locale, e rende già oggi intollerabile la condizione di chi vive in quei contesti non meno che lo stato degli ecosistemi coinvolti.
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