«Cosa c'è nella testa di Vladimir Putin è un pensiero che incuriosisce diversi intellettuali. Forse il più documentato è Michel Eltchaninoff. Nell'introduzione al suo libro racconta: "Primi di gennaio del 2014. Gli alti funzionari, i governatori delle regioni e i dirigenti del Partito Russia Unita, ricevono dall'amministrazione presidenziale un curioso regalo di Capodanno: opere di filosofia! "Le nostre missioni" di Ivan Ilyin, " Lettera ai miei nemici: filosofia della disuguaglianza" di Nikolaj Berdjaev, " La giustificazione del bene" di Vladimir Soloviev, tutti pensatori del XIX e XX secolo". Ora Putin è uno sportivo, giocatore di judo, più cavallerizzo che intellettuale.Altri due uomini influenzano Putin. Uno è il famoso regista Nikita Michalcov, che da vent'anni sostiene di incarnare il rinnovamento di una "Russia bianca" seguita al comunismo. E l'altro è lo stesso confessore di Putin, Tikhon Shevkunov, attualmente superiore del monastero Sretensky, nel centro di Mosca."Dopo aver letto e riletto anche noi i classici del pensiero russo, dopo aver interrogato opinionisti esperti e protagonisti della vita intellettuale russa e dopo aver analizzato i discorsi di Putin", Eltchaninoff dice di essere arrivato a una conclusione: la dottrina dello zar si articola su tre livelli: il primo livello è una visione conservatrice, figlia dell'eredità sovietica e di un finto liberalismo, il secondo livello si regge sulla teoria di "una Via russa al futuro", il terzo è il semplice sogno imperialista».