Il passato di Sacha Naspini non finisce mai. Ma ritorna, e assume nuove forme che vanno aldilà della semplice ripubblicazione (per la casa editrice e/o) dei romanzi scritti prima de Le case del malcontento, l'opera della consacrazione. Per lo scrittore maremmano, voltarsi indietro significa rimodellare e dare nuova vita ai percorsi lontani, metterli a confronto con l'uomo e con lo scrittore che è oggi. Se nella ripubblicazione de I cariolanti il rimaneggiamento era minimo, ne Le nostre assenze - appena uscito - risulta invece massiccio. La storia dell'amicizia storta tra l'io narrante, innominato ragazzino di famiglia medioborghese, e l'amico Michele, poverissimo ma bello, trova strade nuove e inaspettate: la scoperta della tomba etrusca e dei suoi tesori scava nella loro vita - e in quella delle famiglie - una buca di tradimenti, scomparse, vendette, rabbie, verità inghiottite da un gorgo vertiginoso tanto quanto la prima versione del romanzo, uscita esattamente dieci anni fa, nell'aprile del 2012. Naspini, non c'è il rischio che l'intervento su opere del passato ne tradisca la forza originaria? «Io credo invece che valga la pena gestire con più consapevolezza i ritmi, le folgorazioni, i suoni delle pagine di allora con strumenti di scrittura molto più ricchi e consapevoli.
Nella tripartizione della prima versione - passaggio dall'infanzia all'adolescenza, poi la piena pubertà, infine l'età adulta - c'erano troppe occasioni narrative non còlte, quindi ho dato nuova forma fermandomi alla prima parte, quella tra i 9 e gli 11 anni, quando non capisci bene chi sei, perché sei cascato proprio in quella precisa parte di mondo, e cos'è la famiglia che hai intorno. Mi piacerebbe approfondire gli altri due squarci di vita con ulteriori romanzi». (...)