Mentre "La figlia oscura" arriva il 7 aprile nelle sale italiane L'autrice del libro racconta il suo rapporto con la regista Gyllenhaal a cui si è sentita di dare soltanto un consiglio: non lasciarsi intrappolare nelle regole dei generi Il vero sforzo richiede non fedeltà ma invenzione. L'obiettivo è arrivare al cuore del romanzo o almeno all'idea che chi ha lavorato alla sceneggiatura e ha girato il film se ne è fatta
Nella rubrica che ha tenuto sul Guardian, lei ha definito Maggie Gyllenhaal "attrice che amo". Che cosa sapeva del suo lavoro prima che la contattasse per l'adattamento della "Figlia oscura"? Come si è sviluppato il vostro rapporto nel tempo tra l'acquisizione dei diritti e il completamento delle riprese? «Dopo Secretary, credo di aver visto quasi tutto quello che è arrivato in Italia, film e serie televisive. Maggie Gyllenhaal è brava, ha una sua inconfondibile bellezza, occupa lo schermo con l'energia dell'intelligenza. Quando ho saputo del suo interesse per La figlia oscura , ho pensato subito che avrebbe fatto un buon lavoro. Ne sono stata così certa che, quando ho letto la sceneggiatura, le ho solo consigliato di non lasciarsi intrappolare dentro le regole dei generi (la crisi di coppia, il thriller, l'horror) e di attenersi a un registro realistico appena appena sdrucciolevole. Troppo poco, disgraziatamente, per stabilire una relazione più complessa, anche se soltanto epistolare». Sempre nella stessa rubrica sul Guardian, lei ha scritto che, in quanto donna regista, Gyllenhaal era libera di fare completamente sua "La figlia oscura" - «persino [...] se vorrà usarlo come puro e semplice trampolino per il suo slancio creativo». (Ha precisato che, con un regista uomo, sarebbe stata meno acquiescente.) Il prodotto finito mi è sembrato straordinariamente fedele al romanzo. Anche lei ha pensato lo stesso? E la cosa l'ha sorpresa? «Evito in genere di lodare un film perché è fedele al libro. I buoni romanzi sono sfuggenti, non li possiedi mai davvero, te ne fai solo un'idea e su quell'idea lavori. Questo naturalmente non giustifica affatto chi presume di poter fare di un libro ciò che vuole. Sottovalutare pregiudizialmente le strategie di un romanzo porta spesso sceneggiatori e registi a combinare tali pasticci che il risultato è un film disastroso innanzitutto sul piano narrativo. Cos'è quindi un buon film tratto da un buon libro? È un film che coglie ogni stimolo della scrittura per trovare il modo di mutarlo in immagine. Lo sforzo richiede non fedeltà ma invenzione e spesso tradimento. Ma l'obiettivo è arrivare al cuore del libro o almeno all'idea che chi ha lavorato alla sceneggiatura e ha girato il film se n'è fatto. Se l'obiettivo è raggiunto, il film più traditore può risultare misteriosamente aderente al testo. È ciò che è capitato al film di Gyllenhaal. Sembra puntigliosamente fedele al libro proprio perché la sua è la fedeltà nel tradimento, la più fruttuosa, la più stupefacente, la più difficile delle fedeltà, anche nella vita». (...)