«Abbasso le buone maniere. La buona educazione è madre di tutti i mali. Un romanzo d’esordio che disorienta, quello della giovane scrittrice romana Alice Bignardi milanese d’adozione, che in poche, incisive e talora acerbe pennellate, tratteggia tutto il male de “La buona educazione” (edizioni e/o) in cui la protagonista Lisa è immersa. Il male è tutto dentro una parola: “mamma”. Un nome comune, una parola che è densa, piena e vuota. Se la madre è morta, la parola “muore nel tempo che ci metti a pronunciarla”. “Parole come queste, se non le provi, non le senti o non le assaggi, restano così generiche da non significare nulla”.
Quando perdiamo la madre, perdiamo il diritto di avere chi chiamare mamma? Quando muore una madre come quella di Lisa resta il rumore di fondo, quei ricordi impastati di senso di colpa e il vuoto che ti restituisce un’eco dolorosa. “Restano il suo odore negli armadi, i suoi libri sul comodino, le lettere di suo marito per lei di quand’erano giovani e i disegni dei suoi figli nei cassetti”. I foglietti di chi era la madre di Lisa, Antonella: “tipo un foglietto coi suoi orari di lezione, perché sua madre faceva l’insegnante di educazione fisica in un liceo di Roma”. Dall’educazione fisica alla buona educazione da impartire alla figlia a viva forza, anche solo con lo sguardo. “Quanto può cambiare una persona da una stanza all’altra della casa? Quant’era lontana la percezione di lei che aveva suo padre da quella che era rimasta a Lisa?” Si domanda la ragazza. Eppure si tratta pur sempre della stessa persona. Il fatto è che la madre di Lisa l’aveva fatta sentire sbagliata e il suo livello di mortificazione era vicino al soffocamento. Più la educa, più Lisa sembra amare sua madre, disprezzando se stessa. “La guardava come tanti bimbi guardano la propria madre: insistentemente e senza che nessuno se ne accorga”».