C’è molta ricerca nello stile narrativo di Patrizia Rinaldi, c’è la voglia di trovare la parola perfetta, la sintesi che esalta i concetti non immediati. A una prima lettura potremmo pensare a una nota che stecca, a un’imperfezione all’interno di un quadro ineccepibile, ma quando entri nei suoi meccanismi capisci che la stessa costituisce la pietra preziosa, il diamante che arricchisce il diadema.
Singoli termini o intere frasi che apparentemente disconnesse dal testo richiamano nella mente del lettore immagini precise e, con loro, sensazioni, colori e umori di cui rammenti il sapore. Descrizioni che danno tridimensionalità e profondità alla percezione, trasformando i ricordi personali in un bene comune.
Non sempre è facile arrivare dove l’autrice vorrebbe condurci, bisogna prima percepirla e con lei la sua sensibilità.
Bisogna empatizzare con la sua sfera emotiva equando ci riesci ti apre un mondo:
“Puteoli, piccoli pozzi. Si riempirono con onde di dettagli: occhi che cercavano occhi in uno specchio da borsa, i pensieri di carne della sera, gambe veloci, la musica che non avrebbe più sentito, la passeggiata fino al corso.”
Il giallo è ben costruito, i personaggi ben delineati, il finale di sicuro interesse. Ma l’originalità del romanzo è costituita dallo stile dell’autrice, la differenzia e la caratterizza in un territorio tutt’altro che spopolato.