«La promessa del titolo è una leva, quella cioè che permette la tensione narrativa (attraverso il conflitto e il mistero) dall'inizio alla fine (la gestione di Galgut del tempo è perfetta), e che vede al centro una famiglia, gli Swart, il cui albero genealogico essenziale è nei tre figli: Astrid, il cui potere sta nella bellezza, Anton, amareggiato dal potenziale inespresso, e Amor, plasmata dal senso di colpa. I momenti chiave del libro sono i quattro funerali in tre decenni che toccano gli Swart e che Galgut racconta sovrapponendo storie collettive e personali, fondendo micro e macro (apartheid, dagli anni '80: impossibile non pensare a Coetzee), e cupa allegria. Galgut prende per mano il lettore, ricordando un po' nell'esercizio di stile l'Auster di 4321 (Einaudi), con più ritmo - se possibile - e con una prova di bravura che si ripete nel narratore onnisciente, nei dialoghi integrati al testo senza corsivi o virgolette, nell'espressività, nella persona variabile della narrazione, nel tono proteiforme, nei punti di vista spostati e nelle insolite rotture della quarta parete; ciononostante, non c'è mai confusione, persino il metanarrativo transita come nulla fosse, al di sopra di tutto».