Recensione di La ballata di Mila
Testata: Liberidiscrivere
Data: 25 agosto 2011
L’estate sta finendo e le case editrici iniziano a proporre le novità dell’autunno, così fa E/o inaugurando addirittura una collana Sabot/age, diretta da Colomba Rossi e curata da Massimo Carlotto, che propone un perfetto debuttante Matteo Strukul, che fino adesso era noto tra gli addetti ai lavori al di la della barricata, autore di La ballata di Mila un pulp noir triste, bellissimo e violento, ambientato nel Nordest prospero e opulento inquinato da fenomeni criminosi feroci come l’emergente mafia cinese che pian piano spiazza e disancora la criminalità locale insinuandosi nel territorio con le sue spire mefitiche. Innanzitutto è la storia di una vendetta e qui è indubbia l’influenza di molto cinema western epico, non solo per il titolo che mi ha subito richiamato alla mente La Ballata di Cable Hogue di Sam Peckinpah, sebbene i temi trattati siano differenti, ma penso al più recente Il Grinta dei geniali fratelli Coen dove una ragazzina assolda un killer per vendicare l’assassinio del padre, rifacimento del più stopposo, sebbene valse un Oscar a John Wayne, Il Grinta di John Hathaway, e non dimentichiamo il libro da cui fu tratto di Charles Portis, che la Giano ha pubblicato ultimamente, e i cui dialoghi da soli danno una lezione di letteratura difficilmente trascurabile. In La ballata di Mila il killer è la stessa Mila che non ha bisogno di maschi rassicuranti e protettivi per maturare la sua vendetta, ma agisce in prima persona, mette i suoi nemici uno contro l’altro e si gode il suo trionfo finale con insolente e crudele senso della giustizia. Strukul è una sorpresa, devo essere sincera, iniziandolo mi aspettavo un pulp tradizionale, certamente ambientato in Veneto, come il movimento Sugarpulp insegna, ma sebbene il respiro sia molto classico, parlo del modo di scrivere semplice, corretto, ben calibrato, i temi sono piuttosto spiazzanti. Innanzitutto la protagonista, è una donna, una ragazza, dai lunghi dreadlock rossi, per chi non lo sapesse faccia riferimento alla capigliatura di Bob Marley, e non è frequente in questo genere di letteratura. Una donna con le palle, dura come l’acciaio, sfrontata, coraggiosa, che tratta con i delinquenti alla pari, reggendo il loro sguardo, facendosi rispettare, una tipa tosta insomma un po’ Lisbeth Salander ma con molta più rabbia in corpo. Una killer spietata, che taglia le teste alla gente e le raccoglie in un sacco di juta come avvertimento. Più furba e abile dei suoi avversari, maliziosa, con un suo senso dell’onore e della giustizia tutto suo. Poi Strukul predilige un punto di vista interno alla criminalità, ne descrive vizi, debolezze, dinamiche di dominio e di lotte di potere. Specialmente il personaggio di Rossano Pagnan è molto vitale, intergrato nel territorio, violento e rivoltante finchè si voglia ma capace di scampoli di umanità quando gli massacrano la famiglia per poi cedere impietosamente a rigurgiti di codardia quando si trova ad essere ad un passo dalla morte. Il talentuoso Strukul è capace di una piacevole freschezza, e ci regala un romanzo efficace e tragico, un ritratto del marcio e della violenza che regge i delicati equilibri su cui si basa la struttura criminale che sempre più cerca di soppiantare il tessuto sano della società. La mafia cinese stessa a mio avviso, fatta di triadi e vecchi codici d’onore, di efferatezze senza limiti, emerge come la vera protagonista del romanzo, fatto salvo il ruolo centrale di Mila, cardine della narrazione. Lo stile è crudo, diretto, lucidamente perfido, la struttura classica, l’autore poi approfondisce la psicologia dei personaggi senza appesantire la narrazione ma dando alle scene d’azione ampia predominanza. In un certo senso ha una scrittura molto visiva, del cinema di Tarantino ricorda le atmosfere di Kill Bill con la killer O-Ren Ishii, decisa a consumere la sua vendetta, tema ricorrente anche in molto cinema asiatico pensiamo alla Trilogia della Vendetta di Chan-Wook Park. Tornando al western non si può non citare il capolavoro di Sergio Leone Per un pugno di dollari di cui Mila è una versione femminile del Joe di Clint Eastwood intento ad orchestrare un subdolo doppio gioco fingendo di vendersi ad entrambe le famiglie dominanti la città di San Miguel. Dosi di violenza iperrealistica, esagerata, contratta, con rari cedimenti nello splatter, poi ci portano alla lezione del nuovo pulp-noir americano, tra tutti forse Gischler ha inciso maggiormente sia sullo stile che sul linguaggio del giovane autore padovano. Con alterni risultati devo dire che Gischler ormai passato da promettente a consolidato, è preso a modello sempre da un maggior numero di giovani autori non solo americani, ed è bizzarro vedere quanto si presti a queste contaminazioni. Indiscutibilmente un buon libro, che rientra nella nuova onda del pulp “italiano”, e che non mi farà più dannare quando mi chiedono quali sono i miei autori italiani preferiti. Ha ragione Carlotto ne sentiremo parlare.