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Nello Studio di Tiziana Lo Porto, traduttrice di “La promessa”

Testata: Giuditta legge
Data: 16 dicembre 2021
URL: http://www.giudittalegge.it/2021/12/16/nello-studio-di-tiziana-lo-porto-traduttrice-di-la-promessa/

(...) Le voci narranti di La promessa si intrecciano e sostituiscono nel romanzo, con repentini passaggi dalla terza alla prima persona, un flusso costante tra discorsi pronunciati e pensieri sottaciuti. Un andamento introspettivo e intimo che frammenta la realtà e la rende sfumata e polifonica. La tua traduzione sta dietro a questo andamento particolare e fascinosamente scivoloso con innata naturalità e una elegante fluidità.

La fluidità della traduzione, la ricchezza delle sfumature anche lessicali, la grazia dei passaggi tra le voci narranti sono elementi naturali della traduzione o frutto di labor limae? Oppure variano da traduzione in traduzione?

Bisogna stare attenti al suono, non smettere mai di rileggere ad alta voce, l’originale e l’italiano. È l’unico modo per ottenere la fluidità di cui parli. Ieri ho sentito Galgut intervistato da Colm Toibin in un live di una libreria di Washington D.C. (sono qui per qualche giorno), e a proposito del suono delle parole l’ha definito la “driving force”. Che è sì la forza che guida la scrittura verso scenari imprevisti, ma che riporta sempre il traduttore sulla retta via.

Il romanzo La Promessa è una saga famigliare che ruota intorno a una fattoria in Sudafrica, e si apre con il primo funerale che funesta la famiglia Swart, colpendo la madre dopo un’estenuante malattia, curata con sollecitudine dalla domestica di colore Salome. Ne succederanno altri tre: quello del padre, che non ha mantenuto La promessa del titolo fatta alla moglie in punto di morte e inavvertitamente udita dalla figlia più piccola, Amor, da tutti ritenuta strana dopo un incidente in cui è stata colpita da un fulmine; quello della figlia Astrid, assassinata brutalmente da un killer, e infine quello del promettente (e deludente) figlio maggiore, Anton. La promessa mancata è non solo una macchia che Amor sente incombere sul destino della famiglia, ma anche un tarlo che la rode dall’interno, inesorabilmente, emblema e metafora sia della decadenza familiare che delle trasformazioni del Sudafrica nel corso di un frenetico trentennio, dagli anni Ottanta al nuovo Millennio.

Com’è stato orientarsi nella traduzione tra le stanze della fattoria degli Swart che cambia inevitabilmente a ogni funerale?

Immagini. Se sei lì con i personaggi, che in questo caso erano di volta in volta voci narranti (e quindi è più facile immedesimarsi), riesci a immaginare i posti dove le cose accadono, un po’ riesci a essere lì, come faceva Burroughs con i suoi esperimenti (che poi erano abbastanza verosimili, pragmatici) in cui si trasportava dappertutto. Tradurre è anche questo: uscire dalla tua testa ed entrare nella testa del narratore, che sia l’autore o uno dei suoi personaggi. Guardare il mondo con i suoi occhi, dire e fare le cose che dice e fa lui. (...)